Dal Sud un lezione all’Italia, Patruno: «Altro che problema. Siamo un modello»

Parole che possono diventare prospettiva, come la sua storia insegna. Per Lino Patruno, giornalista e scrittore, per tutti un pezzo di storia de “La Gazzetta del Mezzogiorno” (ha diretto il quotidiano per 13 anni), il momento storico che stiamo vivendo richiede uno sforzo nuovo ai meridionali: combattere la cultura del “piangersi addosso”. Un concetto molto chiaro e diretto che esprime attraverso le pagine del suo ultimo libro: “Imparate dal Sud. Lezione di sviluppo all’Italia”.

Il titolo del suo libro è la vera speranza che serve in questo momento per la nostra Terra, nonostante tutto. Si sente mai un visionario?

«No, c’è poco da essere visionari: c’è un Sud molto concreto che si sviluppa nonostante tutto, ma certamente non quanto potrebbe, con la metà dei mezzi a disposizione rispetto al resto del Paese. Parlo di servizi e infrastrutture. Cioè il Sud riesce a fare il più col meno. Se allora imparassero dal Sud, l’Italia sarebbe una Germania o una Francia».

Quanto è importante per chi come lei ha il giornalismo nel DNA affermare oggi che c’è necessità di una narrazione positiva?

«La narrazione del Sud è sempre stata fatta finora dagli altri, zeppa di pregiudizi e di stereotipi, molto spesso non innocenti. Su quelle descrizioni si basa la distribuzione delle risorse: per quel Sud non c’è più nulla da fare, quindi non facciamo nulla. Lasciamolo al suo destino. E prendiamoci il malloppo. Ecco perché occorre una narrazione meno faziosa, senza peraltro nascondere ciò che non va».

Il Mezzogiorno di “Imparate dal Sud” è quello che sa “dare lezioni ed esempi”. Non siamo proprio una “palla al piede di questo Paese”, allora?

«Siamo la soluzione dei problemi del Paese, non il problema. Un Paese che continua a essere l’ultimo in Europa per crescita e si permette il lusso (scandalo) di tenere inutilizzata la sua seconda locomotiva, appunto il Sud. Il Sud conviene all’Italia, c’è bisogno di più Sud per l’Italia, non meno».

E se le dico “autonomia differenziata” cosa mi risponde?

«Ecco, prima che questi del Sud si mettano a farsi sentire, cerchiamo di prenderci tutto il possibile. Non solo le funzioni svolte dallo Stato e che Lombardia, Veneto, Emilia (e Toscana new entry) vogliono per sé, ma anche trattenere le proprie tasse perché chi è ricco ha più diritti a spese degli altri. L’”autonomia differenziata” è prevista dalla Costituzione. Ma la Costituzione prevede anche un livello minimo di servizi che al Sud è ovunque al di sotto di quei livelli perché lo Stato dirotta ogni anno al Centro Nord 61 miliardi di spesa per investimenti che spettano al Sud. Si parla di scuola, asili nido, sanità, trasporti. Quindi lo Stato viola ogni anno (e dal 2001 del federalismo fiscale) la sua stessa Costituzione. Si applichi prima la Costituzione per il Sud e poi si parli di autonomia differenziata. In un Paese in cui non ci siano italiani e diversamente italiani».

Il grande rischio è che chi ha di più potrebbe avere sempre di più, e chi ha di meno riceverà sempre di meno. Come se ne esce?

«Appunto. Se ne esce con le antenne dritte e la vigilanza. Se ne esce denunciando, ciò che ha cominciato a fare da un po’ di tempo la stampa meridionale. Se ne esce con una società civile che prema sui suoi politici, dando loro forza o sostituendoli, invece di ritenere che non ci sia più nulla da fare e di continuare a far partire i suoi figli. Se ne esce possibilmente non solo con questo mio libro ma con tutte le benvenute persone di buona volontà che esprimano un sentimento semi-scomparso: l’indignazione».

Aiutino finale. Ogni giorno sul nostro giornale ci sforziamo di farci sentire “da Sud a Nord” facendo rete. Ha suggerimenti ulteriori su come accorciare le distanze?

«Io non credo che tutta la società settentrionale sia malata di egoismo se non di razzismo. Finora è stata drogata da una informazione a senso unico che parla del Sud solo come un fatto criminale e di sprechi. E’ una comoda menzogna. Non è vero che dando al Sud ciò che gli spetta si tolga al Nord: il Sud è una addizione, non una sottrazione. Lo sviluppo del Sud è interesse anche del Nord. Quindi farsi sentire “da Sud a Nord” è fare la cosa giusta. Cercare di fare rete, anche. Non siamo capaci di muoverci come un unico popolo e un unico territorio. Ma l’alternativa è un Sud che si spopola e un’Italia che passa nella serie B del mondo. Lo dice la Banca d’Italia, lo dice la Svimez, lo dicono i Conti pubblici territoriali che non sono un lamento del Sud. Ecco perché io stesso dico che il mio libro è una “scocciatura”: disturba. Temo un po’ anche a Sud».

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