Da Zalone a Bellocchi: «Ho sempre avuto passione per tutto ciò che è arte»

Bravura e fortuna. Crescendo ci si rende conto che l’una non sopravvive senza l’altra. Domenico Dicillo, barese doc, ha fatto della sua vita un’opera d’arte. La respira, la sfiora, la modella ogni giorno.

Quando ha deciso che l’arte sarebbe stata il suo mestiere?
«Eh, bella domanda! In realtà è come se lo avessi sempre saputo. Da ragazzino mi disegnavo addirittura i giocattoli. Ho sempre avuto una grande passione per tutto ciò che è arte, in genere. Crescendo, poi, ho voluto approfondire anche studiando».
Quindi, che percorso di studi ha fatto?
«Ho frequentato il liceo artistico e poi mi sono iscritto all’Accademia delle Belle Arti di Bari e lì ho trovato la mia professione».
“Ah, sei artista. Sì, ma che lavoro fai?”. Le hanno mai fatto questa domanda?
«Sempre. Fin dai tempi del liceo c’era gente che aveva questi preconcetti, che credeva che chi frequentasse scuole di questo tipo lo faceva solo per non studiare. Per fortuna in famiglia, soprattutto mia madre, non mi hanno mai ostacolato. Lei mi ha sempre fatto fare delle scelte libere. Gli altri, invece, sottovalutavano l’arte credendo non potesse portare da nessuna parte».
Mi racconti del suo percorso lavorativo e di come è diventato Art director.
«Allora, tutto è iniziato in Accademia, in modo completamente fortuito. Tuttora io non so chi abbia fatto il mio nome! Mi sono ritrovato sul set de “L’amore ritorna” di Sergio Rubini e lì ho iniziato aiutando un arredatore. Poi ho avuto diverse altre esperienze, però non riuscivo davvero a trovare la strada giusta. Infatti, ho anche cambiato lavoro per un po’, ho fatto il responsabile di un reparto grafico. Ad un certo punto, però, di nuovo per puro caso, mi sono ritrovato a fare un film con Checco Zalone e da lì non mi sono più fermato. Ho iniziato a fare l’aiuto, poi l’assistente e ora sono Art director. Ho anche firmato qualche lavoro di scenografia in autonomia come per Ligabue o per un film che ho fatto negli Stati Uniti. In questo preciso momento sono Art director per Marco Bellocchio. È il terzo lavoro che faccio con lui. Ho avuto la fortuna di lavorare anche con Ermanno Olmi, per “Il villaggio di cartone” e poi ho fatto tanti altri lavori».
Ha lavorato per la nuova serie tv di Bellocchio, “Esterno notte”. Mi descriva l’ambiente più significativo che ha curato.
«Questa serie parla del caso Moro analizzato da più punti di vista, come quello dei brigatisti, del governo del tempo o della famiglia Moro. L’ambiente più forte è quello del set del ritrovamento del corpo di Aldo Moro. Abbiamo riprodotto la strada, via Caetani, così come era quel giorno. Impalcature, manifesti. Tutto. Abbiamo ricreato l’intera scena, con una documentazione pazzesca».
Qual è stato il processo creativo di questo ambiente?
«C’è stata una imponente ricerca di fonti e studio. Tutto è durato vari mesi. Abbiamo interpellato anche persone che realmente hanno vissuto in quegli anni. Dopo questa fase abbiamo ricreato tutto con sopralluoghi sul posto, misurazioni, ricerca di colori fino alla realizzazione di ogni minimo particolare».
Il film per cui le è più piaciuto di più lavorare?
«Forse il più bello è stato quello con Ermanno Olmi. Facevo l’arredatore per la prima vera volta e lavorare per un mostro del cinema come lui è stato formativo sotto tanti punti di vista. Conosceva da cima a fondo tutto il mondo del cinema, conosceva tutte le figure di cui è formata una troupe, ad esempio. Sapeva tutto! Tante volte dava anche dei consigli, ne ricordo ancora uno, mi disse: “Troppa dedizione è la distruzione”. E aveva ragione».
E, invece, qual è l’incontro più bello che ha fatto grazie al suo lavoro?
«Sicuramente con Olmi, ma anche con Bellocchio, perché sono incontri che ti arricchiscono. Ho incontrato tante belle persone e grandi registi, ma loro sono stati quelli ad avermi più colpito per la loro conoscenza profonda del cinema in ogni sua parte».
Nuovi lavori in cantiere?
«Sì, sempre con Bellocchio, ma niente anticipazioni».
È sempre in giro per lavoro, ma la sua casa dov’è? Quella “vera”, che l’accoglie ogni volta, come se non fosse mai andato via?
«In tutti questi anni una vera e propria dimora non l’ho mai avuta. Sono sempre in giro. Di recente sono stato tre anni a Napoli per “L’amica geniale”. Adesso ho preso una casa a Bari. L’ho fatto per me stesso, per sapere che ho una casa. Bari è la mia città, voglio vivere qui perché mi piace. Anche se so che per mantenere dei livelli alti in questo lavoro devo per forza spostarmi. Quindi, dico che la mia casa è Bari».

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