Correva l’anno 1942 e il piccolo e perspicace Gustavo Delgado, a soli 10 anni, giocava tra i quotidiani dell’agenzia di distribuzione di suo padre Gianni, nella sede di via Nicolai, a Bari. Ha inizio da qui la passione infinita per «quei fogli di carta» che raccontano le vicende e che documentano lo scorrere del tempo. Oggi il giornalista e conduttore televisivo, da sempre legato all’Arma dei Carabinieri, ha 92 anni e con la sua brillante lucidità è la memoria storica di Bari. Un cronista con 70 anni di attività, volto noto del Tgr Puglia e dell’emittente del gruppo Telenorba, inviato nelle zone di guerra, con la passione per la storia.
Nella sua mente son custoditi migliaia di servizi giornalistici. Difficile elencarli tutti, ma le diamo una dritta: è stata appena presentata la nuova stagione del Petruzzelli, ormai tornato ai suoi antichi splendori. Cosa ricorda di quella notte di fuoco del 27 ottobre del 1991, quando dalla “Norma”, messa in scena poche ore prima, si passò alla tragedia delle fiamme vere? Cosa accadde?
«Intorno all’una, a casa mia, il telefono squillò. Era mia suocera, abitava in via Cognetti, di fronte al teatro, e mi disse: “Il Petruzzelli sta bruciando”. Chiamai i vigili del fuoco che mi dissero: “È un inferno, il teatro brucia, stiamo chiamando rinforzi da tutta la Puglia. Telefonai al mio direttore Enzo Magistà e gli chiesi di mandarmi due operatori e in breve tempo raggiungemmo il posto. La situazione era veramente drammatica».
Riuscì ad entrare?
«Sì, con il comandante dei vigili del fuoco mi prese con sé e mi guidò verso il palcoscenico in preda al fuoco. Bruciava tutto, la temperatura era di circa 50 gradi, non si poteva resistere. L’ingegnere dei vigili mi diede un elmetto e ci affacciammo con fatica dal lato delle scene. La platea era già tutta distrutta. Restammo ancora pochi attimi con un caldo insopportabile e con detriti infiammati ovunque. Poi il comandante mi prese per il braccio e mi condusse fuori. La cupola crollò».
E all’esterno cosa vide?
«Centinaia di persone spaventate e infuriate. Una donna urlava: “Il nostro teatro”. Moltissimi spettatori, stavolta di una tragedia reale, rimasero sul posto fino al mattino, piangendo. Bari veniva privata del suo teatro di fama internazionale».
E il gestore del teatro?
«All’alba indicai agli operatori la figura di Ferdinando Pinto. Era fermo sul marciapiedi antistante e guardava il fuoco con gli occhi fissi, allucinati, disperato. In quelle condizioni non avevamo il diritto di turbarlo con la pretesa di un’intervista. Ci guardò con un’espressione irritata, sofferente. Filmammo centinaia di immagini anche tra la gente costernata, mortificata».
Quanto durò l’incendio?
«Arsero per tutta la giornata mentre alla radio e tv il teatro dei baresi era al centro di polemiche, sospetti, accuse e ipotesi le più strampalate. Se ne parlava ormai in tutto il mondo, specialmente negli ambienti artistici. Una frase eloquente e che riassume le teorie più valide fu quella di un ingegnere specializzato nella costruzione e ricostruzione, giunto da Milano per dare una mano ai baresi: “Qua neppure i tubi sono Innocenti”».
E poi?
«Purtroppo la ricostruzione tardò anche troppo ma alla fine il teatro è tornato a risplendere».
Torniamo alla professione: cosa fa di un giornalista un buon giornalista?
«Quando rispetta l’italiano e quando interpreta il suo lavoro come una vera e propria missione al servizio della collettività. Deve rispettare la verità e il suo pubblico di lettori o di spettatori».