Antonio Nunziante, ex prefetto e vicepresidente della giunta regionale, alla guida di Ladisa srl e Ledi editori: «Il mio faro è il bene comune»

L’inizio del nostro incontro è commosso perché per Antonio Nunziante, prima di parlare di futuro vuole ricordare Franco Sebastio ex procuratore di Taranto scomparso alcuni giorni fa, a cui succede nell’incarico di Presidente del CdA di Ladisa srl e Presidente di Ledi, società editrice del nostro giornale. Il suo è un pensiero commosso e grato che esprime con la promessa di «mettere innanzitutto a disposizione la mia esperienza per fare qualcosa per gli altri, nel ricordo di un uomo esemplare».

La dedizione ed il rispetto di Antonio Nunziante per la società civile viene da lontano. Dalla sua attività di Prefetto in diverse zone d’Italia, da quelle molto complesse come la Sicilia e la Capitanata, all’ultima che è stata Bari che ha vissuto prima ancora da Capo di Gabinetto della Prefettura in un momento storico: lo sbarco della Vlora nel 1981. E poi l’impegno politico che, come vi racconteremo, rappresenta una parte importante della sua vita: quella che è sempre stata vicina al suo impegno sociale.

Da dove cominciamo questa chiacchierata?

«Da un dato certo. Io sono un uomo fortunato, ho avuto tutto dalla vita e ho il dovere di mettere a disposizione degli altri la mia esperienza, per costruire. Parlavamo dell’esperienza politica. Per me è stata molto importante perché anche in quel caso mi sono messo alla prova e ho cercato di migliorare ogni situazione per il bene comune».

Un esempio?

«Dopo 41 anni di attività per il Ministero dell’Interno e dopo aver girato tutta Italia, ho voluto dedicarmi alla Puglia ed al suo sviluppo immaginando sempre la Politica come impegno sociale. Questo è stato (e resta tuttora) un percorso di vita imprescindibile. Durante la mia esperienza da vice presidente della giunta, avevo il compito di coordinare il lavoro di tutto e di tutti, e sono venuti fuori degli aspetti molto importanti che hanno tracciato una strada. Sono stato assessore al Personale, allo Sviluppo Economico e alla Protezione Civile, in ogni sfida mi sono cimentato. Ma il traguardo più importante che ho raggiunto, è stato quello di aver evaso tutte le graduatorie per l’assunzione di personale che erano presenti in quegli anni. E cosa più esaltante ancora, è che tra le decine di assunti c’erano tante persone diversamente abili (quasi un centinaio) a cui finalmente assicuravamo non una pensione ma un lavoro a tutti gli effetti per rispettare la loro dignità. Non li ho mai voluti conoscere, ma restano nel mio cuore».

Gli anni da Prefetto prima di arrivare a Bari, che cosa hanno significato?

«L’insegnamento primario che mi ha ispirato fin dalla mia più giovane età, che da soli non si va da nessuna parte. Sul Gargano quando saltavano in aria i locali ad esempio, dopo tante battaglie riuscii a mettere su l’associazione Antiracket e la consulta dei Giovani. Non si trattava di una panacea ai mali che quel contesto purtroppo esprimeva (e con mio rammarico dico che continua ad esprimere), ma di un modo per fare fronte comune. Avevo bisogno che l’associazione si costituisse parte civile nei vari processi. E così fu. Tutti presero consapevolezza di quello che accadeva e di come si poteva ricostruire insieme. Devo dire grazie al Ministero dell’Interno, al sottosegretario Mantovano, al vice ministro Bubbico che mi aiutarono ad avere i vari finanziamenti per ristorare le vittime che dovevano continuare a lavorare ed opporsi alla malavita con segni tangibili».

Durante l’esperienza foggiana subì pesanti minacce, ha mai pensato di fermarsi?

«No, mai. Quando dai fastidio, ci sono sempre delle ripercussioni. Lo metti in conto, anche se con dolore e paura pensi alla tua famiglia. Io lo sapevo che sarebbe successo. Ma non sentirsi solo è essenziale.

E questo concetto l’ho poi portato avanti in politica e continua a guidarmi tutt’oggi in ogni impegno che prendo: il beneficio della comunità innanzitutto».

A Bari, da Capo di Gabinetto della Prefettura ha vissuto uno dei momenti più importanti della storia moderna italiana: lo sbarco della Vlora nel 1981, coordinando tutte le attività. Come ricorda quei momenti? Chi ricorda in quei momenti?

«Come dimenticare quei giorni e quei volti. Allora non esisteva la Protezione Civile, e quello che accadde fu qualcosa di straordinario ed inaspettato. Io fui il primo a ricevere la telefonata da Brindisi dove avrebbe dovuto attraccare la Vlora. Erano le 3:51 dell’8 agosto, e mi comunicarono che la nave sarebbe stata dirottata a Bari. Non esisteva la protezione civile. Accanto a me due persone straordinarie con cui decidemmo subito il da farsi: l’allora sindaco Enrico Dalfino, e Don Tonino Bello. Ci guardammo negli occhi e agimmo ispirati da un solo principio: “il rispetto della persona”. Non ci interessava se su quella nave ci fossero persone a rischio o disperati, sapevamo solo che per noi erano essere umani e meritavano di essere accolti con attenzione e cura. E trovammo tutte le sistemazioni possibili e decorose. Alcuni andarono in altre città italiane, alcuni nello stesso seminario di Don Tonino a Molfetta, altri restarono a Bari senza compromettere la quotidianità dei baresi. L’immagine dello stadio è quella che ricordano in tanti, per me – per noi se penso ai sorrisi con Enrico e Don Tonino – è invece quella dei bagni che i profughi facevano a San Francesco. Non dimentichiamocelo mai, si fugge perchè c’è disperazione, e non per il gusto di farlo. Le Istituzioni, la Chiesa in quelle ore avevano ben chiaro questo assunto».

Equità ed umanizzazione dunque, due valori che piacciono anche a L’Edicola del Sud. Su cosa possiamo lavorare insieme?

«Su quello che corrisponde già all’impegno della redazione e degli editori, unire le forze per essere espressione autentica ed educativa dell’antimafia sociale che ogni territorio si merita».

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