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Traffico di droga nel Salento, smantellati due gruppi criminali: gestivano lo spaccio tra Nardò e Gallipoli – VIDEO

Sette persone in carcere, nove agli arresti domiciliari e complessivamente 51 indagati. Sono i numeri della maxi operazione condotta dai carabinieri del comando provinciale di Lecce a Gallipoli, Nardò, Galatone, Sannicola e Seclì.

I provvedimenti sono stati emessi dal gip del Tribunale di Lecce su richiesta della locale Procura distrettuale antimafia e hanno visto impegnati 120 militari salentini, supportati dai carabinieri del sesto Nucleo Elicotteri di Bari Palese, dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Puglia”, del Nucleo Cinofili di Modugno e dell’11esimo Reggimento “Puglia”.

Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro, con l’aggravante del metodo mafioso.

Le indagini sono partite a giugno del 2020, con l’arresto in flagranza, per spaccio di stupefacenti avvenuto a Galatone di un giovane, all’epoca 21enne. Sono stati poi individuati due filoni paralleli, in costante contatto, che – secondo gli inquirenti – si sarebbero spartiti le due principali aree di spaccio della parte ionica del Salento, suddivise tra i centri di Nardò, con le marine di Santa Caterina e Santa Maria al Bagno, e Gallipoli, Galatone e Sannicola.

È così emersa l’esistenza di due strutture criminali ramificate, ben suddivise sui rispettivi territori, che sarebbero state capaci di piazzare ingenti quantitativi di droga.

In particolare, l’organizzazione operante sull’area di Nardò sarebbe stata caratterizzata da «una struttura verticistica in grado di gestire una sistematica attività di spaccio di stupefacenti aggravata dal tipico ricorso alla violenza, in perfetto stile mafioso», spiegano i carabinieri in una nota. Alcuni episodi hanno destato l’attenzione degli inquirenti: un caso eclatante è stato quando, dopo un prelievo di denaro a un bancomat, una vittima sarebbe stata avvicinata da alcune persone armate che, con violenza e minacce, sarebbero saliti sull’auto del malcapitato. Durante il tragitto, la vittima sarebbe stata colpita con schiaffi e minacciata con una pistola, puntata alla gamba destra e al volto, fino a essere condotta in un luogo isolato, dove i malviventi l’avrebbero derubata di 350 euro in contanti e delle chiavi dell’auto. Uno degli aggressori avrebbe poi esploso due colpi d’arma da fuoco in direzione dell’auto, uno dei quali avrebbe colpito lo sportello dal lato del conducente.

In un’altra circostanza, invece, vicino a un bar di Nardò, una persona sarebbe stata aggredita da uno dei sodali del gruppo criminale che l’avrebbe ripetutamente colpita con violenza con calci e pugni al volto.

Nell’organizzazione, stando a quanto emerso dalle indagini, un ruolo primario sarebbe stato rivestito anche dalle donne di famiglia. Alcune di esse avrebbero avuto ruoli centrali, come referenti dediti tanto al rifornimento dei pusher quanto allo spaccio al dettaglio. Altre avrebbero gestito lo spaccio e lo stoccaggio della droga, controllando gli approvvigionamenti e le consegne, alcune delle quali sarebbero avvenute anche alla presenza del figlio minore di una delle sodali.

Un’altra donna, ritenuta vicina al capo, avrebbe gestito per suo conto i contatti telefonici, organizzato gli incontri con le altre figure di spicco dell’organizzazione e svolto, di fatto, il ruolo di “telefonista”. In tali circostanze, sarebbero state anche adottate cautele particolari per eludere il controllo delle forze dell’ordine, quali l’utilizzo di chat dedicate create su piattaforme multimediali come WhatsApp e Telegram. Proprio le chat avrebbero avuto un ruolo determinante: qui infatti i “clienti” contattavano i pusher per ordinare le dosi. E sempre in chat, in alcuni casi, erano proprio i pusher a chiedere una “recensione” della droga venduta per assicurarsi della buona qualità. La sostanza stupefacente veniva chiamata con parle in codice: “birra” o “pane fatto in casa“.

Il bilancio complessivo dell’operazione parla di dieci arresti in flagranza, del sequestro di quantitativi di cocaina, eroina, hashish e marijuana, che avrebbero potuto inondare il territorio con quasi cinquemila dosi da piazzare al dettaglio.

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