Matera, le proposte degli operatori per rilanciare il teatro “Duni”

C’è grande attesa per l’avvio dei lavori di restauro del teatro Duni di Matera, che restituiranno ai materani e alle materane uno dei luoghi simbolo della cultura della città, orfana per troppo tempo. Chiuso dal 2015, ci si aspetta che i lavori di restauro si muovano funambolicamente tra il rispetto del progetto originale del 1949 a firma dell’architetto Ettore Stella e quelle che sono le esigenze di un teatro moderno e al passo con i tempi, sotto la lente di ingrandimento creata dalle aspettative a valle dell’esperienza del 2019. Ad occuparsene sarà lo studio di architettura Acito, che ha dato il via a diversi incontri con gli addetti ai lavori per sondarne le esigenze, promossi dal sindaco Domenico Bennardi.

Un’iniziativa molto apprezzata dalle parti coinvolte che hanno così avuto occasione di apportare il loro contributo a un lavoro cui la città guarda come una vera e propria restituzione. «In linea di massima, il teatro sarà adatto prevalentemente a spettacoli teatrali e musicali. Non avrà una destinazione come cinema – sottolinea Carlo Iuorno, titolare di un’azienda di servizi professionali per lo spettacolo -. Avrà in minima parte un utilizzo congressuale, in quanto sarà conservato il vecchio schermo che è in ottimo stato». Il punto di vista di un tecnico del suono e delle luci ha dato un valore aggiunto all’incontro: «Il teatro avrà tutte le predisposizioni necessarie ad ospitare qualsiasi tipo di esigenza tecnica – ha aggiunto Iuorno -. Noi siamo impegnati in questa direzione. Il mio compito è stato trasmettere le esigenze del comparto tecnico, affinché chi sarà ospitato nel Duni possa trarne dei comfort. Mi sto impegnando sul miglioramento degli aspetti di carico e scarico delle attrezzature, e per la realizzazione di una regia tecnica con spazio dedicato e con infrastrutture di cablaggi idonei».

Tra i caratteri principali ai quali si è guardato, anche l’inclusività. Adele Paolicelli, regista teatrale, ha sottolineato l’importanza dell’accessibilità: «Nel rispetto estremo dell’architettura di un luogo di tale pregio, non si può non considerare l’importanza di renderlo accessibile anche alle diversità. Posti con maggiore ampiezza nella seduta erano naturalmente già stati previsti nel progetto, ma ho ritenuto importante evidenziare come queste esigenze siano presenti anche negli ambienti dei camerini». Un’attenzione rivolta anche agli artisti che, continua Paolicelli, «hanno un bagaglio di diverse abilità. Ho voluto aggiungere questo aspetto che è necessario per rendere questa struttura all’avanguardia. In previsione di una stagione teatrale che possa non avere dei limiti, anche dietro le quinte». Un confronto che dà la possibilità di poter evidenziare delle linee guida, a fronte di quella che Paolicelli non esita a definire «Un’occasione d’oro, per fare in modo che le grandi aspettative su questo luogo non vengano disattese. Ci siamo basati su esperienza pregressa, a volte gestita in maniera non impeccabile. Avendo un’opportunità come questa, con un’amministrazione attenta al punto da chiamarci per dare il nostro contributo come tecnici, perché non tentare di rendere un posto così bello anche funzionale?». C’è poi la questione dell’insonorizzazione del foyer, fiore all’occhiello della struttura, per far sì che possa «coabitare con la macchina teatrale», ha aggiunto, per poi concludere: «Da persona che fa questo mestiere, credo che non sia mai vero che luoghi come questo siano superflui. Sono importanti in quanto fucine di cultura, perché non rimanga solo un concetto astratto, e praticarla nel quotidiano».

Sulla questione camerini è tornato anche Antonio Montemurro, autore e regista teatrale: «La vecchia situazione del Duni lasciava molto a desiderare, erano piccoli e tenuti in condizioni non proprio eccezionali». E ricorda quando, se si era un po’ più alti, bisognava sedersi alle estremità per poter allungare le gambe nei corridoi: «La vecchia disposizione delle poltrone non prevedeva le gambe dello spettatore. La comodità delle poltrone è imprescindibile». La questione della messa in funzione non è da meno: «Ci siamo raccomandati che il gestore tenga conto che questo bellissimo teatro, che sarà ancora più bello dopo il restauro, debba funzionare non meno di 20 giorni al mese. Questo per abbattere i costi del noleggio, perché noi compagnie locali, ma anche quelle nazionali, non si possono permettere costi di noleggio elevati e il biglietto non può salire oltre un certo livello, soprattutto di questi tempi. Facendolo funzionare spesso, si risparmierebbe», ha aggiunto Montemurro. Dal progetto presentato dallo studio Acito, a fronte dei circa 1000 posti del vecchio teatro, dopo il restauro saranno tra i 750 e gli 800, anche per ricavare spazio per le nuove esigenze tecniche e di accessibilità. Un numero che Montemurro ritiene «Più che sufficiente, considerando che la gran parte dei teatri italiani contano 500 o 600 posti; il Sistina ne conta 1500, ma è un’eccezione». Accortezze anche per l’acustica, con elementi che possano evitare echi e rimbombi. Questione cui già nel ‘49 si era posto rimedio, con le indimenticabili colonne alte e sottili che non avevano funzione di sostegno, bensì finalizzate all’acustica.

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