È guerra aperta tra le diverse fazioni politiche sulla decisione del governo Meloni di abrogare il meccanismo di cessione del credito e dello sconto in fattura, aspetti dei diversi bonus edilizi (tra cui il superbonus) introdotti dal governo Conte. Gli esponenti del Movimento 5 Stelle di Matera ritengono che il decreto legge «affossi completamente il tessuto delle piccole e medie imprese e degli artigiani che operano nel settore edile». Una decisione che per i pentastellati sarebbe rivelatoria della reale identità del governo attualmente in carica: «Dopo pochissimi mesi dal suo insediamento Giorgia Meloni getta via la maschera e tradisce le sue stesse promesse fatte in campagna elettorale su questo argomento», dichiarano, affermando come grazie a questo meccanismo si sia invece riusciti a rilanciare il settore edile. E annunciano una «battaglia senza sosta», sulla scia di quanto già annunciato da Giuseppe Conte in Parlamento, con iniziative anche a livello locale per «far sentire la nostra totale vicinanza a tutti i soggetti imprenditoriali colpiti affinché si riesca a scongiurare questo ennesimo disastro annunciato e voluto fortemente da chi ora legittimamente governa la nostra nazione». Ma Fratelli d’Italia Matera rispedisce le accuse al mittente e definisce la posizione del M5S «tracotante», descrivendo il superbonus come nient’altro che «una enciclopedia di circolari interpretative e correttive dell’Agenzia delle Entrate che hanno in questi anni posto in difficoltà gli operatori di mercato in modo particolare famiglie e imprese» e sottolineando come in effetti il decreto legge introduca solo lo stop alla cessione dei crediti e allo sconto in fattura, mentre resta in vigore la detrazione in dichiarazione dei redditi; inoltre, la modifica scatta solo per i lavori che partono dal 16 febbraio in poi, mentre per le procedure aperte e i lavori già in corso non cambia nulla. «Inoltre il decreto interviene anche sulle pubbliche amministrazione, per evitare ulteriore impatti sui conti pubblici», aggiungono i meloniani, che definiscono una «bomba ad orologeria» quei 110 miliardi (stimati al ribasso, sostengono) che sarebbero andati a carico dello Stato rischiando di mandare sul lastrico i bilanci degli enti pubblici. E tornano poi sulle imprese che «pur in possesso di crediti fiscali hanno difficoltà a garantire il pagamento dei contributi e imposte e costrette a attivare ulteriori linee di finanziamento a copertura dei debiti assunti», situazione che non si sarebbe venuta a creare «se il sistema avesse funzionato».
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Di Flavia Di Maio16 Novembre 2024