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“Semi di giustizia” nel nome di Angelica, la zia: «Un simbolo della lotta alle mafie»

«Ho sempre desiderato avere una figlia e per me Angelica lo era. Le ho dato io il nome. Quando nacque, mia sorella Paola la mise tra le mie braccia e mi disse: “Tieni, lei è anche tua, la cresceremo insieme”». Inizia così il racconto di Nadia Rizzello, sorella di Paola e zia di Angelica, la…
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«Ho sempre desiderato avere una figlia e per me Angelica lo era. Le ho dato io il nome. Quando nacque, mia sorella Paola la mise tra le mie braccia e mi disse: “Tieni, lei è anche tua, la cresceremo insieme”». Inizia così il racconto di Nadia Rizzello, sorella di Paola e zia di Angelica, la più piccola vittima innocente di mafia, uccisa a soli due anni.

L’associazione

Il 5 dicembre 2024, giorno del trentacinquesimo compleanno di Angelica, Nadia ha fondato l’associazione “Angelica Pirtoli – Semi di giustizia e rinascita”, dedicata alla nipotina. L’obiettivo è diffondere la cultura della legalità, della pace, della non violenza, prevenire episodi di bullismo e contrastare la povertà educativa. «La mafia ha stravolto la mia vita e quella dei miei familiari. Ha seminato sangue e dolore nella mia famiglia. Paola era madre anche di Alessandro che aveva nove anni quando lei è scomparsa. L’ho cresciuto come un figlio. Lui è il dono che mi ha lasciato mia sorella», sottolinea.

La denuncia

«Avevo già due figli meravigliosi, ma desideravo una figlia e per me Angelica lo era», spiega Nadia. Paola e Angelica sparirono nel nulla il 20 marzo 1991 e i familiari iniziarono a cercarle. «Trovai la Panda rossa parcheggiata sulla strada che collega Matino a Casarano. Andai in caserma per denunciare la scomparsa e mi dissero di non preoccuparmi», racconta Nadia. Invece passarono giorni, mesi, anni e di Paola e Angelica non si seppe più nulla. «Ogni tanto andavo a chiedere ai carabinieri se ci fossero notizie ma tornavo a casa sempre sconfitta e a malincuore. Intanto, intorno a me, cresceva l’indifferenza. Nessuno si preoccupava di quello che mi era accaduto. Ho vissuto anni di solitudine e omertà da parte di tutti», ricorda con rammarico.

Il ritrovamento

In una giornata di inizio inverno, nel 1997, Nadia fu chiamata per riconoscere alcuni oggetti. «Capii che mia sorella era stata ritrovata. Scoppiai a piangere. Non so se per la gioia o per il dolore perché finalmente l’avevo ritrovata. Anche se morta, avrei avuto un luogo dove poter andare a piangere», dice Nadia. Di Angelica, però, non si sapeva ancora nulla. «Dovetti aspettare altri due anni. Fu ritrovata il 4 maggio 1999», spiega la zia della piccola. Adesso Paola e Angelica riposano nel cimitero di Casarano. Paola fu uccisa perché era diventata una testimone scomoda per il clan Giannelli. Conosceva troppi segreti. La piccola Angelica non era stata presa in considerazione. Purtroppo Paola l’aveva portata con sé all’appuntamento con i suoi sicari. Si fidava di loro e non immaginava quello che sarebbe potuto succedere. «Su Paola si sono dette tantissime cose. Aveva un compagno, Antonio Pirtoli, che è morto di crepacuore meno di un mese dopo la sepoltura di Paola. Paola è sempre stata una ragazza vivace e piena di vita. Ho scoperto dopo che era amica delle persone sbagliate», evidenzia Nadia. La piccola Angelica, dapprima ferita e lasciata agonizzante per ore sul cadavere della mamma, venne sbattuta ripetutamente contro un muretto fino alla morte. Un omicidio fra i più efferati nella storia delle mafie. Molti Comuni hanno intitolato un luogo alla piccola Angelica. A Castiglione d’Otranto le è stato dedicato un murales e un giardinetto, a Ruffano l’anfiteatro di una scuola materna e presto, a Casarano, le sarà intitolato un bene confiscato alla mafia.

L’impegno

Nadia è quotidianamente impegnata in incontri pubblici, soprattutto nelle scuole. Ha portato la sua testimonianza in Commissione parlamentare Antimafia dove è stata invitata dalla presidente Chiara Colosimo. «Sempre chiusa nel mio dolore e senza che nessuno venisse mai a cercarmi, leggendo un post su Facebook del giornalista Danilo Lupo diedi voce alla mia sofferenza. Conobbi l’avvocata Libera Francioso che faceva parte dell’associazione Libera. Fu così che iniziai a portare la mia testimonianza nelle scuole e nelle piazze. Sono molto grata e legata a Matilde Montinaro, la sorella di Antonio. Fu lei a incoraggiarmi a dare voce al mio dolore, sebbene non fosse facile. Mi disse che dovevo trasformare il dolore e fu così che lo trasformai in impegno civico e morale», conclude Nadia.

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