L’uovo perfetto e le galline felici: l’insolita startup di Giulio Apollonio che sta stupendo il mondo

«Creando l’uovo perfetto, ho cercato di ricreare un ecosistema naturale, dove ci fosse un equilibrio tra la flora e la fauna». A spiegarlo è Giulio Apollonio, 36 anni, originario di Aradeo, che ci ha raccontato come funziona il suo parco (situato a Cutrofiano, nel Leccese), il più grande d’Europa, dove tante galline sono state salvate dalla macellazione e scorrazzano felici alla luce del sole, con tanti effetti positivi sulle uova che producono.

Giulio, perché il suo è un uovo perfetto?

«Perché ho cercato di ricreare un ecosistema naturale, dove ci fosse un equilibrio tra la flora e la fauna, quindi, in questo caso, tra le galline e il parco che ho creato ad hoc per loro».

Quanto è grande il suo parco?

«Attualmente è di circa due ettari e mezzo/tre».

Come nasce la sua idea? E quando?

«Ho sempre vissuto, insieme alla mia compagna, nel mondo del commercio e della macellazione e ho avuto anche un mio allevamento fino a una quindicina di anni fa. Ma ho capito che c’era qualcosa che non andava, che non era corretto. C’era un corto circuito e non poteva durare a lungo, perché all’epoca non si parlava di sostenibilità. Poi ho avuto un’azienda di catering, ma pensavo tutti i giorni a come potevo rientrare nel mio mondo, quello degli animali, ma nel modo corretto. E la scintilla è scoccata nel luglio/agosto del 2017. Volevo farlo da molto, i tempi erano maturi».

Come è cambiata la sua vita?

«Facevo anche catering importanti, ma era davvero stressante. Vivere in un parco, avendo anche un guadagno discreto, mi dà serenità. Non c’è paragone».

Cosa cambia nell’uovo perfetto? Quali sono le sue caratteristiche?

«Al di là del fatto che le uova di galline che vivono all’aperto e alla luce del sole sono migliori a livello nutrizionale e contengono importanti vitamine, c’è da considerare anche un altro aspetto».

Quale?

«L’essere umano, sin da quando esiste, ha sempre mangiato uova e frutta. Ma le uova che ha mangiato per 300mila anni, tranne che negli ultimi secoli, erano tutte fecondate. Poi ci si è inventati un prodotto che viene chiamato uova, ma è molto diverso da quello che hanno mangiato le centinaia di generazioni che ci hanno preceduto. E ci si è inventati dei luoghi in cui sono state rinchiuse solo le femmine».

E nel suo parco che succede, invece?

«Nel mio parco, non essendoci violenza e convivendo, com’è normale che dovrebbe essere, galli e galline, gli animali si accoppiano e le uova sono fecondate. A livello nutrizionale si apre un mondo: queste uova hanno, per esempio, dei veri e propri anabolizzanti naturali».

Quante galline aveva all’inizio e quante ne ha adesso?

«Quando ho cominciato, avevo 250 galline. Adesso ne ho 6mila, oltre a 600 galli, una percentuale che garantisce che ogni uovo sia fecondato. E poi si crea socialità e benessere animale, che innalza anche il livello qualitativo dei prodotti».

E le galline non sono tutte uguali.

«No, anzi cerchiamo di acquistare quante più razze possibili. Più madre e padre sono distanti a livello genetico, più i figli hanno possibilità di sopravvivere nel parco. I più forti sono figli di incroci. Nel nostro parco abbiamo attivato un processo di deselezione, facendo in mondo che la natura selezioni gli animali più resistenti».

Ma ci sono anche tanti problemi o questo può essere il futuro?

«Non potrà mai essere il futuro, perché non c’è una normativa in merito. Noi viviamo sotto costante minaccia di chiusura. Per fortuna c’è un servizio sanitario locale che sta facendo tutto il possibile per interpretare nel miglior modo una normativa che non c’è. Il paradosso è che per la normativa rispetta il benessere animale più un capannone che il mio parco. La legge non menziona questo tipo di allevamento, per non parlare delle uova fecondate. Quindi un giorno esisti e un altro rischi di non esistere più. Basti pensare al fatto che il parco è stato sequestrato un paio di volte, con danni economici inimmaginabili. È una situazione molto complessa».

Fin dove è arrivata la sua storia, della quale si è parlato anche alla Cop26?

«In Europa in tutte le nazioni. L’ultima a interessarsi è stata la televisione della Repubblica Ceca, ma tempo fa arrivò qui anche la Cnn».

E le sue spedizioni dove arrivano?

«Anche all’estero, verso quei Paesi in cui posso garantire la spedizione in 72 ore. Quindi dal Belgio alla stessa Repubblica Ceca fino all’Ungheria».

La sua idea le ha portato anche dei riconoscimenti?

«Sì, ma il fatto straordinario è stata l’attenzione mediatica ricevuta sin dall’inizio. Tutti quelli che vengono e mi dicono “Che bella idea”, quello è il più grande riconoscimento».

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