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Lecce

Il 10% dei positivi salentini contagiati sul posto di lavoro

Sono 697, con 8 esiti mortali, i salentini che hanno contratto il Covid sul posto di lavoro. In Puglia sono stati 7mila e 132 secondo i dati Inail raccolti tra il gennaio 2020 e fine dicembre 2021: i numeri riproducono una fedele fotografia di due anni di pandemia e di come questa abbia direttamente colpito i lavoratori.

In Puglia, 55 casi hanno avuto un esito mortale. Il dato regionale delle denunce pesa per il 3,7 su scala nazionale mentre i decessi sono pari al 6,8 percento.
Complessivamente in Italia, negli ultimi due anni, l’Istituto della previdenza sociale ha raccolto 191mila e 46 denunce, di cui 811 decessi.
Il dato salentino pesa per il 9,8 per cento sul numero complessivo regionale, mentre i valori più alti si sono registrati a Bari (32,2 per cento) e a Foggia (25,8 per cento).
La fascia d’età più interessata dai contagi, nel Salento, è stata quella tra i 50 e i 64 anni (295 denunce); a seguire i lavoratori tra i 35 e il 49 anni con 295 denunce. Le donne salentine sembrano essersi esposte a rischi maggiori rispetto agli uomini presentando 385 denunce contro le 362 dei colleghi. L’analisi nella regione evidenzia che le denunce sono per il 71,5 per cento afferenti al 2020 e per il 28,5 per cento al 2021: un dato in linea con quanto osservato a livello nazionale, visto che circa la metà dei casi si è concentrata nell’ultimo trimestre del 2020.
Guardando invece ai settori produttivi, il più interessato dal problema è stato quello sanitario e dell’assistenza sociale (55,7%), seguito dall’amministrazione pubblica (13,7%), dal noleggio e dai servizi alle imprese (6,8%), dalle attività manifatturiere (2,5%) e da altre attività (18,6%).
Per quanto riguarda le professioni, i più colpiti sono stati, neanche a dirlo, i tecnici della salute (34%) e i lavoratori dei servizi sanitari e sociali (11,6%).
Come si evince dalle tabelle, Inail ha catalogato questi casi di contagio come infortuni. Ma, secondo il presidente di Confindustria Lecce, Nicola Delle Donne si tratterebbe di una forzatura: «I dati sono il risultato di un’alchimia legislativa che mira a scaricare la malattia da lavoro sulle spalle dell’Inail che garantisce la copertura assicurativa. Io mi rifiuto categoricamente di conteggiare questi casi perché non è dimostrabile il momento in cui è avvenuto il contagio: il lavoratore potrebbe essersi infettato a casa, al supermercato e ovunque. In azienda avviene l’accertamento della positività per cui posso considerarli semplici dati di rilevamento».
E ancora: «La questione è dubbia e discutibile, infatti è entrata in vigore una norma che esclude la responsabilità dell’imprenditore su questo tipo di infortunio, visto che non è accertabile. Condannare un imprenditore per un decesso da Covid sarebbe davvero paradossale».
Infine, secondo Delle Donne, se il rischio è ovviamente maggiore per le professioni sanitarie, i dipendenti in generale lavorano in luoghi sanificati e in cui sono rispettate le disposizioni anti-Covid: «Se all’inizio della pandemia dovevamo convincere i lavoratori a indossare i Dpi, oggi è diventata un’abitudine: il rispetto delle norme di sicurezza sul posto di lavoro è nell’interesse comune e tutti indossano le mascherine, sia nelle fabbriche sia negli uffici».

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