Si avvicina la serata del concertone finale della Notte della Taranta, il 23 agosto a Melpignano, e tra gli ospiti speciali è previsto Giuliano Sangiorgi, la cui esibizione sarà preceduta dalla proiezione di un video inedito girato da Edoardo Winspeare. Al regista salentino abbiamo chiesto di parlarcene.
«È un video che girai tre anni fa per Giuliano Sangiorgi. Il testo è scritto da Giuliano ed è il suo primo pezzo in dialetto salentino, “Lu Carcaluru”, che è il folletto dispettoso della cultura contadina salentina. Ho immaginato una sorta di funerale degli ulivi, secchi per le cattive pratiche dell’incuria e dei diserbanti, e ovviamente per la Xylella. Nel video ho voluto delle prèfiche danzanti, le chiamo così, interpretate da Nicoletta Manni e dalle altre ballerine della compagnia Tarantarte, con la partecipazione del primo ballerino del Teatro alla Scala, Timofej Andrijashenko, con la coreografia di Maristella Martella. Giuliano canta in un campo di ulivi morti, monumenti funebri di quello che furono i nostri ulivi maestosi, secolari, meravigliosi, circondato da queste prèfiche danzanti. Lui l’ha scritto come grido di dolore per la devastazione del paesaggio e del nostro patrimonio agro forestale. E io l’ho accompagnato. Il video è stato finanziato dalla Fondazione Silva che si occupa di ripiantare alberi dove non ci sono più: prendono dei terreni pubblici e privati e ci piantano alberi, decine di ettari in provincia di Brindisi, in Sicilia, ma soprattutto da noi in provincia di Lecce, dove la devastazione del paesaggio è più evidente. Forse la Puglia è il posto dove la devastazione del paesaggio a causa della Xylella e del cambiamento climatico è più evidente».
A proposito della Notte della Taranta, c’è stata nei giorni scorsi una polemica aperta da “Alias” sulla spettacolarizzazione delle feste popolari e in particolare sulla Notte della Taranta. Che ne pensi?
«Sai, appena una cosa diventa popolare, come la musica di tradizione, è ovvio che ci siano delle cose che non vanno, che lo stile non sia più quello originario, e sebbene anche io sarei più rigoroso, capisco che sia fisiologico che diventi spettacolo e moda. Ma va bene lo stesso, e lo dico con un poco rammarico, ormai siamo qui, in un mondo dove tutto si vende, tutto è apparenza, ma dobbiamo guardare avanti in positivo, ritornando anche a un nuovo tipo di ricerca sulla musica popolare che per me è stata molto importante. La musica popolare era un modo per ripensare il sud, per riprendersi un certo orgoglio, una consapevolezza, perché dal dopoguerra in poi, ma in realtà anche da prima, il Sud ha perso la sua vocazione. E tutto ne è venuto di conseguenza, la devastazione del paesaggio, case costruite in maniera assurda, la volgarità che è dappertutto. Mentre il sud potrebbe essere una risorsa per l’Europa perché, mi piace dire così, è il posto dell’anima dell’Europa».
Quali debolezze e quali punti di forza trovi nel mondo culturale, e in particolare musicale e cinematografico, salentino e pugliese?
«Intanto c’è da dire che in Puglia da un po’ di tempo succedono tante cose. In passato Domenico Modugno, che era di San Pietro Vernotico, si spacciava per siciliano e napoletano, cantando una specie di siciliano. Oppure c’era solo una Puglia macchiettistica, come quella di Lino Banfi. Oggi con la musica e il cinema le cose sono molto cambiate. Io direi che l’arte principe della Puglia è soprattutto la musica. La pizzica, i Negramaro, la musica popolare, il pop di Amoruso, Marrone, Caparezza è incredibile. Penso che nessuna regione abbia prodotto in poco tempo così tanti artisti. Il cinema ha creato un immaginario e la cosa interessante è che tutti noi partiamo dalla provincia, non siamo andati a Roma. Piva, io, Barletti viviamo qui, usiamo personaggi e attori del posto, nella lingua del posto. E, dopo di noi, ci hanno seguito tanti altri. Poi, va riconosciuto, l’Apulia Film Commission ha funzionato molto bene per tanto tempo, cosa che continua ancora».
Quali sono state le tue principali fonti di ispirazione culturale specifiche per il mondo salentino?
«Io parto proprio dal Medioevo, se non dall’antichità. Non riesco a prescindere dalla storia e dalla storia della letteratura. Quando faccio un film, scrivo una storia, non posso dimenticare che questo territorio è il ponte fra mondo greco e mondo latino. Pacuvio, Quinto Ennio e Livio Andronìco erano di qua, è significativo. O il monastero di Casole, a pochi chilometri a sud di Otranto, centro letterario e culturale che aveva una delle biblioteche più ricche d’Europa. E tra i contemporanei, la persona più importante per me è stato forse Franco Cassano. Immagino sempre una rivoluzione copernicana dove noi non siamo solo il sud del mondo, ma siamo il centro del mondo, perché ogni posto deve diventare il centro del mondo, ma non perché è migliore di altri, ma perché è salutare così. Dobbiamo capire dove stiamo, ma senza chiuderci. E ti parla uno che non c’ha una goccia di sangue salentino. Io ho quattro nonni con quattro passaporti diversi, anzi sei passaporti diversi, perché due di loro avevano due passaporti. Io stesso ho due passaporti. Sono uno che a casa non parlava neanche italiano, parlavo francese con mio padre, tedesco con mia madre, e sono stato mandato in collegio a Firenze, a sciacquare i miei panni in Arno. La cosa interessante della Puglia è proprio questo sue essere un ponte, e ogni volta penso a Don Tonino Bello, un personaggio straordinario per me, che parlava della Puglia come un ponte di pace, fra levante e ponente, fra Oriente e Occidente. E ricordo anche un prete meno noto di lui, don Grazio Gianfreda, che io soprannominavo l’archemandrita dell’abbazia di Casole, che mi domandava “Qual è il centro del mondo?” E io dicevo, non lo so, forse è New York? No, mi rispondeva, è Otránto, con l’accento sulla “a”, Perché Otránto sta al centro del Mediterraneo, mi spiegava. La sua in fondo era una dichiarazione filosofica, perché noi dobbiamo sentirci al centro del mondo».