Conti correnti, beni e società per un ammontare complessivo di circa 12 milioni di euro sono stati sequestrati a esponenti del gruppo Penza del clan Pepe-Bringanti della Sacra corona uniti, attivo a Lecce e in provincia.
Il sequestro preventivo è stato eseguito dai finanzieri del nucleo di Polizia economico-finanziaria di Lecce e dagli agenti della squadra mobile del capoluogo salentino su delega della locale Direzione distrettuale antimafia.
Il decreto di sequestro emesso dal gip di Lecce arriva a seguito di indagini che avrebbero accertato come i beni accumulati da persone vicine al clan sarebbero frutto dei “guadagni” rivenienti dal traffico di sostanze stupefacenti e da reati come il trasferimento fraudolento di valori e l’emissione di fatture false per operazioni inesistenti.
L’operazione odierna arriva a seguito delle 35 misure cautelari eseguite nel novembre del 2024 a carico di alcuni esponenti della criminalità organizzata leccese. Nel dicembre successivo, il Tribunale di Lecce ha riconosciuto la sussistenza del reato associativo di stampo mafioso.
Nel corso delle indagini sarebbero state ricostruite le attività di due associazioni criminali, radicate a Lecce e nel basso Salento, guidate rispettivamente da P.A.M. e G.S. la prima e da C.G. e R.C. l’altra, tutti pregiudicati, dedite al traffico di ingenti quantitativi di droga.
Il gruppo criminale non solo avrebbe sviluppato un’egemonia territoriale nel traffico degli stupefacenti ma anche «un progressivo dominio sotto il profilo economico-finanziario attraverso l’acquisizione nel tempo di una serie di locali pubblici (pub e ristoranti) e alcuni esercizi commerciali nel territorio salentino, con la connivenza e fattiva collaborazione di un noto ex commercialista salentino e a tutt’oggi ristretto», scrivono gli inquirenti in una nota.
Stando a quanto emerso diverse imprese, sotto forma di cooperativa, risultavano formalmente affidate a soci o prestanome ma in realtà erano utilizzate dal gruppo criminale per reinvestire il denaro di provenienza illecita (anche all’estero) e per garantire ai familiari degli associati assunzioni e retribuzioni, così da legittimare la provenienza (di facciata) dei guadagni. Ma in realtà nessuna attività lavorativa è stata riscontrata nel corso delle indagini.
Il denaro, inoltre, veniva utilizzato per pagare “stipendi” (anche di 2.500 euro) alle mogli e ai parenti di persone che si trovano in carcere.
In alcuni casi, poi, “imprese” compiacenti provvedevano all’acquisto di auto di lusso che di fatto venivano utilizzate dai pregiudicati o dai loro familiari.
Ad “amministrare” gli interessi dei gruppi criminali sarebbe stato il commercialista che si sarebbe anche prestato a trasferire all’estero «ingenti somme di denaro con bonifici in partenza dalle solite società cooperative compiacenti».
Dai controlli economico-finanziari è emerso che gli indagati avrebbero avuto nelle proprie disponibilità somme sproporzionate rispetto ai redditi dichiarati. È così scattato il sequestro.