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Dall’Ucraina a Lecce per aggiornarsi: il direttore del Centro trapianti di Kiev studia all’UniSalento

«Lavoriamo sotto forte stress, con il timore costante di essere colpiti da un ordigno. Non abbiamo farmaci per le nuove cure e possiamo assicurare soltanto le terapie principali, ma intendiamo fare tutto quanto è possibile per migliorare l’assistenza sanitaria agli ucraini. Il diritto alla salute è sacro». Non ha dubbi Nazarii Shokun, 31enne direttore del Centro trapianti di midollo osseo dell’istituto tumori di Kiev, arrivato a Lecce per aggiornare tecniche e competenze.

Grazie alla collaborazione dell’associazione Angela Serra Odv, Shokun è stato accolto dall’Università del Salento e dall’ospedale Vito Fazzi di Lecce, dove ha la possibilità di misurarsi e aggiornarsi con le più moderne tecniche di trattamento dei tumori grazie al team di oncologi ospedalieri dell’Asl Lecce e all’aiuto del professor Ugo De Giorgi, docente del Dipartimento Medicina sperimentale dell’UniSalento e direttore della Struttura complessa di Oncologia universitaria del Fazzi.

Molti medici del Centro trapianti dell’istituto tumori di Kiev, con l’inizio della guerra, hanno scelto di lasciare l’Ucraina e rifugiarsi in Australia o negli Stati Uniti, al riparo da un conflitto di cui, ancora oggi, non si vede la fine.

Insieme ad altri due ematologi come lui, Shokun effettua trapianti di midollo in pazienti affetti da qualunque neoplasia ematologica e da sarcomi, adulti o pediatrici, operando in situazioni di emergenza e senza la possibilità di offrire ai malati reparti specializzati e differenziati.

A Lecce, il medico ucraino ha la possibilità di ricevere supporto – insieme al suo team – sia da un punto di vista assistenziale che scientifico, grazie all’inserimento nei network di ricerca e cura nazionali e internazionali.

Non solo. Al momento manca, in tutta l’Ucraina, una struttura adeguata per il trattamento e la cura dei tumori germinali che colpiscono soprattutto i giovani. «Il nostro contributo – spiega il professor De Giorgi – mira a ristabilire anche questo tipo di attività perché la guerra, purtroppo, non porta soltanto distruzione fisica di ospedali e città, ma preclude crudelmente l’accesso a terapie complesse e salvavita, impedendo la guarigione dei pazienti più giovani».

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