Dopo il primo giorno di plenaria, a Strasburgo si è tornati a parlare dell’impegno europeo alla causa di Kiev e del percorso dell’Ucraina verso l’adesione all’Unione. A introdurre i lavori ci ha pensato Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, con un discorso nel quale ha sottolineato come l’ingresso nei 27 possa «rappresentare la più forte garanzia di sicurezza» in previsione di una tregua o di un cessate il fuoco tra Ucraina e Russia. «L’Ue è al lavoro con Kiev per avviare il primo gruppo di negoziati di adesione e avviare poi tutti i capitoli nel 2025». Un obiettivo che la leader europea avrebbe concordato con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, proprio in occasione dei funerali di Papa Francesco, al Vaticano.
La strategia del porcospino
«L’Ucraina deve diventare un porcospino, talmente armata da risultare indigeribile per qualsiasi invasore», ha detto la presidente durante la plenaria. «La Russia rappresenta una minaccia permanente per l’intera Europa. Pertanto, l’Ucraina dev’essere sufficientemente forte da scoraggiare qualsiasi attacco futuro, con la deterrenza». Von der Leyen ha ricordato gli sforzi di Bruxelles alla causa di Kiev e ha ricordato i prossimi sforzi. «L’Europa ha già sostenuto l’Ucraina con 50 miliardi di euro di aiuti militari – ha detto – ora dobbiamo passare da una logica di aiuti a una logica di integrazione delle nostre industrie della difesa».
Critiche alla Commissione
Sul piano di riarmo da 800 miliardi, però, è arrivato l’ennesimo stop all’impeto della Commissione. È passato, infatti, con 281 voti a favore, 260 contrari e 121 astenuti, a Strasburgo, un emendamento, presentato dal Movimento 5 Stelle per il gruppo The Left. Criticata in particolare è la scelta della Commissione di bypassare l’opinione e il voto dell’Assemblea sul piano Safe, parte di ReArm Eu.
Adesione prima possibile
Sul punto dell’adesione dell’Ucraina all’Ue, però, la quadra tra i Paesi non si è ancora trovata. Da una parte ci sarebbero i 6 Paesi dei Balcani occidentali, da tempo in attesa di poter avere un posto sotto la bandiera blu con le stelline gialle, dall’altro alcuni Paesi membri, come l’Ungheria in primis. «Non è nel nostro interesse – ha dichiarato Kinga Gal, vicepresidente del gruppo e membro di Fidesz, il partito di Orbán -, causerebbe gravi danni alla politica agricola, alla politica di coesione e altro”.