L’Italia ha espulso trenta diplomatici russi che operavano nel nostro Paese. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha dichiarato che questa decisione è legata a ragioni di sicurezza nazionale. L’ambasciatore russo a Roma, Sergey Razov, ha «esplicitamente protestato contro la decisione immotivata dell’Italia che porterà a un ulteriore deterioramento delle relazioni bilaterali e ha dichiarato che questo passo non rimarrà senza risposta da parte russa», lasciando intendere che membri del nostro corpo diplomatico sono prossimi a essere dichiarati persone non gradite in territorio russo. Anche Francia, Germania, Danimarca e Spagna hanno preso iniziative simili a quella italiana. È la reazione sul terreno delle relazioni diplomatiche per l’eccidio di Bucha che ha profondamente scosso la comunità internazionale. Con la drammatica presa d’atto che i crimini di guerra perpetrati nella cittadina a pochi chilometri da Kiev non sono un caso isolato.
Amnesty International parla di stupri, torture ed esecuzioni sommarie di civili senza risparmiare i bambini in diverse altre località, da Irpin a Borodyanka dove, secondo il sindaco, ancora 200 corpi sono sotto le macerie dei bombardamenti. Ma se le relazioni diplomatiche sono al minimo storico anche quelle commerciali conoscono un ulteriore restringimento. Sempre ieri, Ursula von der Leyen (che in settimana sarà a Kiev) ha presentato la proposta per il quinto pacchetto di sanzioni volto a colpire quei campi in cui la Russia è vulnerabile. Tra questi il divieto di transazione per quattro banche che rappresentano il 23 per cento del settore, il divieto d’accesso nelle acque europee per le navi, l’embargo sul carbone. Si stimano danni per più di 15 miliardi di euro. Resta però ancora fuori l’embargo sul mercato del gas, che è diventato la principale fonte di sostentamento di un’economia fiaccata dai costi della guerra e delle sanzioni internazionali. Qui l’Europa non ha ancora una posizione unitaria. Polonia e Paesi Baltici sono per l’immediato stop, contrarie Austria e Germania, ma il vero scoglio è il possibile voto contrario dell’Ungheria. L’Italia si è detta pronta a votare qualsiasi misura che l’Europa riterrà opportuna, senza porre veti.










