Alle prese con il dilemma su come porsi davanti a un condannato diventato presidente degli Stati Uniti, il giudice della Corte suprema statale di New York, Juan Merchan, ha preso una drammatica decisione: il 10 gennaio alle 9,30 confermerà la condanna di Donald Trump, ma non lo punirà con ulteriori misure tipo carcere, libertà provvisoria, lavori sociali o multe.
Basterà confermare la colpevolezza già riconosciuta dalla giuria popolare a maggio, quando Trump è stato dichiarato colpevole di 34 reati e condannato per aver falsificato documenti finanziari con l’obiettivo di nascondere il pagamento in nero di 130 mila dollari a una pornostar, Stormy Daniels, che nel 2016 aveva minacciato di rivelare di aver fatto sesso con lui.
La storia, fosse uscita a poche settimane dalle presidenziali, avrebbe potuto fermare la corsa alla Casa Bianca di Trump, che decise di pagare il silenzio della donna e poi vinse le elezioni, battendo la candidata democratica Hillary Clinton.
Così ha stabilito il gran giurì di New York e così il giudice confermerà nell’udienza del 10 gennaio, dieci giorni prima del ritorno di Trump alla Casa Bianca. La decisione del giudice è stata contestata dai legali del presidente eletto, che hanno accusato Merchan di aver “violato il principio di immunità” stabilito dalla Corte Suprema l’anno scorso.
Dopo aver rivinto le elezioni, a novembre, Trump ha fatto di tutto per ottenere l’archiviazione del processo, che rappresenta una macchia indelebile – sarà il primo presidente pregiudicato della storia degli Stati Uniti – ed è probabile che tenterà di nuovo di appellarsi.
Il problema è che per la legge di New York la sentenza finale non può essere appellabile, per cui i margini di manovra appaiono molto limitati. Ma questo non significa che Trump non ci provi, a costo di rivolgersi alla Corte Suprema che, in passato, con tre membri scelti da lui, si è dimostrata pronta a dargli una mano.