Ricorre oggi il trentatreesimo anniversario della strage di via D’Amelio, l’attentato mafioso che il 19 luglio 1992 uccise il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
La strage avvenne a meno di due mesi dalla morte dell’amico e collega Giovanni Falcone, nell’attentato di Capaci, ed è una ferita ancora aperta nella storia italiana.
In occasione dell’anniversario, le istituzioni hanno reso omaggio alle vittime sottolineando l’importanza della loro eredità nella lotta alla criminalità organizzata.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato come la strage voluta dalla mafia intendesse «proseguire, in modo eversivo, il disegno della intimidazione e della paura», ma ha anche evidenziato che «la democrazia è stata più forte. Gli assassini e i loro mandanti sono stati sconfitti e condannati».
Mattarella ha ribadito che onorare la memoria di Borsellino significa seguire la sua lezione di dignità e legalità e far sì che il suo messaggio raggiunga le generazioni più giovani.
Anche la premier Giorgia Meloni ha voluto ricordare il giudice antimafia, scrivendo sui social che «l’esempio di Paolo Borsellino, un uomo che ha sacrificato la sua vita per la verità, per la giustizia, per l’Italia, continua a vivere ogni giorno». Il presidente del Senato Ignazio La Russa ha definito via D’Amelio «una ferita aperta nella memoria collettiva» ma anche «il luogo simbolico in cui si rinnova la volontà di non arrendersi mai di fronte al crimine e all’indifferenza».
A Palermo, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha partecipato alle cerimonie in onore delle vittime, esprimendo «onore a servitori dello Stato che non hanno mai indietreggiato nella lotta alla criminalità organizzata, fino all’estremo sacrificio».
Nel frattempo, emergono nuove riflessioni sulle motivazioni dietro le stragi. Il tenente colonnello Carmelo Canale, storico collaboratore di Paolo Borsellino, ha rivelato a Radio 1 Rai che il giudice era particolarmente interessato agli appalti. Canale ha raccontato di indagini su «appalti per centinaia di milioni» e di aver trovato «tutte le raccomandate che il signor Siino Angelo mandava in giro alle ditte per mettersi d’accordo su chi doveva vincere la gara».
Le dichiarazioni di Canale suggeriscono che dietro le stragi potessero celarsi interessi legati agli appalti e alle tangenti, un aspetto che Borsellino stava approfondendo nei 57 giorni tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio.