Quattro persone sono state arrestate, tra la Puglia e il Lazio, con l’accusa di far parte di un’associazione a delinquere finalizzata alla ricettazione ed esportazione illecita di reperti archeologici e numismatici.
L’ordinanza di applicazione di misure cautelari è stata eseguita dai carabinieri del Nucleo tutela del patrimonio culturale di Bari nell’ambito di un’indagine che vede coinvolte 32 persone.
Il modus operandi
L’operazione di oggi arriva nell’ambito dell’indagine “Art Sharing“, avviata nel 2020, che ha portato alla disarticolazione di un gruppo criminale dedito allo scavo clandestino, operato da tombaroli e trafugatori esperti, con l’obiettivo di impossessarsi illecitamente e rubare beni culturali appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato, per poi “ricettarli” tramite «uno stabile canale di approvvigionamento e una consolidata rete logistica finalizzata all’occultamento, alla determinazione del valore, alla predisposizione di documentazione per l’attribuzione di un’apparente lecita provenienza dei beni», scrivono gli inquirenti in una nota.
Il gruppo, inoltre, si sarebbe occupato del trasporto con mezzi appositamente predisposti e corrieri professionisti e utilizzando sistemi di comunicazione capaci di eludere eventuali indagini (canali telematici, utilizzo di un linguaggio criptico e false identità). I beni trafugati venivano poi esportati all’estero grazie all’acquisto da parte di persone, anche straniere, a vario titolo coinvolte nella catena della ricettazione.
Come era organizzato il gruppo
L’organizzazione criminale aveva basi operative nelle province di Bari, Bat (Barletta-Andria-Trani) e Foggia e diramazioni nel Lazio, Emilia Romagna, Repubblica di San Marino, nonché in Belgio e Spagna.
Il traffico illecito di reperti archeologici veniva gestito attraverso una fantomatica casa d’aste denominata “Costa’s Gallery”, con sede ad Anversa in Belgio, riconducibile a due indagati colpiti dalla misura cautelare, che proponeva la vendita dei beni prevalentemente apuli ed etruschi, illecitamente trafugati da aree archeologiche dell’Italia centro-meridionale, a gallerie e case d’asta in vari paesi europei ed americani.
La florida rete commerciale creata, nel procurare un ingente profitto all’organizzazione, ha causato un danno di rilevante entità al patrimonio culturale e archeologico nazionale, con dispersione di testimonianze storiche ormai irrecuperabili.
I beni recuperati
Tra gli oggetti recuperati (circa trecento) ci sono un sarcofago di marmo risalente all’epoca romana imperiale rinvenuto in Belgio, quindici sculture etrusche rinvenute in Spagna, insieme ad altri reperti ceramici risalenti al V-III sec. a.C. di provenienza italiana, vasi ceramici con decorazioni (in particolare due Hydria a figure rosse, tre Kylix a vernice nera, due Lekanis a figure rosse, una Oinochoe a bocca trilobata), oltre duecento monete in argento e bronzo di varie epoche, molte coniate da zecche dell’antica Puglia (in parte ancora interessate da incrostazioni terrose), anelli in bronzo e pendagli, vari metal-detectors e attrezzature per lo scavo, false attestazioni di provenienza dei reperti e apparati informatici utilizzati per le trattative e le transazioni commerciali.
Nell’ambito dell’operazione di oggi sono state eseguite anche tre rogatorie internazionali, due in Svizzera e una nella Repubblica di San Marino, concluse con l’individuazione di beni attestabili al patrimonio culturale dello Stato italiano.
La collaborazione con Eurojust e le forze dell’ordine estere
L’inchiesta è stata supportata da attività tecniche, dinamiche e telematiche, consentendo di individuare l’intera filiera tipica della classica struttura organizzativa dedita al traffico internazionale di beni archeologici. Infatti, è stata contestata anche l’aggravante della transnazionalità.
Di rilevante importanza per lo sviluppo estero dell’indagine è stata la collaborazione tra la magistratura barese con quelle dei paesi esteri interessati che, grazie al coordinamento di Eurojust, ha permesso – in attuazione di più Ordini europei d’indagine – lo svolgimento di attività investigative in Belgio, Germania, Spagna e Austria, con l’esecuzione di perquisizioni che hanno portato al rinvenimento e conseguente sequestro di preziose testimonianze storico-archeologiche del patrimonio italiano.
Nel corso delle investigazioni sono state eseguite perquisizioni all’estero, con la collaborazione della Guardia Civil spagnola, della Polizia Federale belga e di quella svizzera, a Granada, Valencia, Bruxelles e Lugano, che hanno consentito il sequestro di importanti reperti archeologici acquistati presso la “inesistente” casa d’aste, che inviava i preziosi manufatti avvalendosi della rete logistica di spedizione creata per lo scopo illecito.