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Re Giorgio, un uomo di cuore che ha saputo tanto amare e tenere stretta la famiglia

Qui, in via Borgonuovo a Milano, di fronte al portone 21, dove viveva e lavorava Giorgio Armani, si respira ancora un’aria un po’ surreale. Lunedì ci sono stati i funerali a Rivalta Gazzola, in provincia di Piacenza nella chiesa di San Martino.

Funerali privati per sole sessanta persone, dopo due giorni di camera ardente dove invece migliaia e migliaia di persone, ricchi e poveri, famosi e sconosciuti, si sono messe in coda per un ultimo saluto.

Il signor Armani ora riposa nel cimitero nella cappella di famiglia con i genitori Ugo e Maria e il fratello Sergio e questo è il momento dei ricordi. Ma ora si riparte, il lavoro non aspetta, con una riunione del commerciale e del marketing per vedere come vanno le vendite negli store di tutto il mondo.

Tutto sotto controllo

«Ogni pomeriggio il signor Armani (lo chiamavamo così) ci convocava per cinque ore nella sala riunioni per verificare come andavano le vendite nei vari negozi del mondo, dalle boutique Giorgio Armani, la prima linea, a quelle degli Empori Armani», mi raccontano, «E se un certo paio di pantaloni non veniva venduto, chiedeva spiegazioni e spingeva perché si intervenisse sul direttore del negozio per incrementare la vendita di quel capo che andava seguito e promosso con più attenzione. E aveva sempre ragione: dopo due giorni arrivavano altri dati: le vendite erano riprese».

I ruoli sono chiari. Pantaleo Dell’Orco, detto Leo, il suo braccio destro, l’amico speciale da più di quarant’anni di Armani, si occuperà della linea uomo. Invece Silvana Armani, la nipote, figlia di Sergio, responsabile della linea donna, coprirà, con Leo, il ruolo di direttore artistico che è stato dello zio Giorgio.

Una lunga conoscenza

Chi scrive conosce Giorgio Armani e la sua famiglia da tantissimi anni. Li ho sempre seguiti come personaggi famosi, le nostre strade si sono incrociate più che per una frequentazione professionale, molto, molto saltuaria, ma per una vicinanza di case, visto che abito tra la casa di Silvana e quella che era di Giorgio, tre case collocate a pochi metri di distanza l’una dall’altra per cui ci siamo sempre visti negli ultimi trent’anni.

La confessione

In questi giorni si sono viste molte interviste televisive di Armani e una di queste mi ha particolarmente colpito: parlava con Elisabetta Falciola, ottima giornalista del Tg5, esperta di moda e molto legata ad Armani alla sua famiglia. In quell’intervista Armani le confessava di aver trascurato il suo privato, di aver dato tanto, anzi troppo al lavoro. Ammetteva che era stato un errore, che invece avrebbe dovuto dedicare di più agli affetti, all’amore, agli amici. «Mi sono impegnato talmente tanto nel lavoro che ho trascurato quello che conta forse davvero nella vita: i sentimenti».

Gli inizi travolgenti

So che può sembrare assurdo, ma mi sento di contestare queste sue parole: ho sempre seguito la vita di Armani perché sono nato curioso. In più tanti anni fa, quando lui cominciava a diventare molto famoso, io lavoravo alla Rizzoli e sua sorella, Rosanna, lavorava alla porta accanto alla mia perché era una giornalista, si occupava soprattutto di moda, nella redazione di una nota rivista.

Un giornale su cui scrivevano personaggi come Alberto Moravia, Gianni Brera, Paolo Mosca. Rosanna era una donna estremamente bella, non a caso era stata una fotomodella ed era stata proprio «la ragazza di Arianna», così era diventata famosa. Arianna era una rivista Mondadori fondata da Lamberto Sechi, altro monumento del giornalismo italiano.

Per cui, quando si è iniziato a parlare di Giorgio Armani, mi sono particolarmente incuriosito. Ricordo che la prima foto che ho visto di lui era apparsa sul settimanale femminile Annabella, diretto da Luciana Omicini, sempre alla Rizzoli, e in quella foto lui era ritratto insieme alla sorella Rosanna. I due venivano presentati, forse erroneamente, come «gli stilisti Rosanna e Giorgio Armani».

Già, sembra strano, ma la sorella era diventata famosa prima di lui. Poi nel giro di un attimo era nato già il suo mito, prima una sfilata uomo in via Durini, dove era stato invitato anche John Travolta.

Già, perché doveva essere Travolta il protagonista del film diretto da Paul Schrader American Gigolò, ma poi all’ultimo era stato preferito Richard Gere che si era fatto notare nella sua interpretazione di In cerca di Mr. Goodbar, dove appariva anche nudo.

E in American Gigolò Gere vestiva Giorgio Armani e così il mito Armani esplose in tutto il mondo.

Ricordo una delle sue prime sfilate, forse la prima, a Palazzo Serbelloni, a Milano, dove aveva invitato il meglio della borghesia milanese, tra cui una bellissima Ljuba Rosa Rizzoli, seconda moglie di Andrea, mio editore di allora.

Le idee di Galeotti

I suoi capi andarono a ruba, nel senso che proprio fu rubata la collezione perché nessuno aveva pensato che nel cortile qualcuno avrebbe allungato le mani su quei vestiti. E anche questo fece notizia, mentre a ogni ospite fu regalato il cuscino su cui era seduto.

Erano queste idee di grande promozione, di marketing, ed erano, credo, tutte di Sergio Galeotti. Si parlava molto di Galeotti e Armani.

Colpo di fulmine

Come si è letto in questi giorni Sergio e Giorgio si erano conosciuti fuori da un locale, la Capannina, a Forte dei Marmi, dove Gianni era andato per una brevissima vacanza.

Galeotti aveva studiato architettura e collaborava con alcuni studi della zona tra Carrara e Viareggio, visto che lui era nato a Pietrasanta. Fu un colpo di fulmine e forse per questo prima di morire Giorgio Armani ha voluto comprare la Capannina da Carla Guidi.

Dalle vetrine al mondo

Tra Armani e Galeotti seguirono dieci anni di frequentazione profonda. E fu proprio Sergio a capire che quel ragazzo che lavorava alla Rinascente aveva un talento strepitoso per creare abiti.

Perché Giorgio era riuscito a farsi assumere e attraverso una conoscenza alla Rinascente di Milano dove si occupava di acquisti, era un buyer, anche se allora non si usava questa parola.

Anche Nino Cerruti era rimasto colpito da una vetrina realizzata da Giorgio Armani e gli aveva chiesto di occuparsi della direzione artistica della sua linea di uomo.

La copertina di Time

Galeotti capì di avere a che fare con un genio, ma non fu facile per lui convincerlo a lasciare il posto fisso, il certo per l’incerto. Vinse e nel giro di cinque anni Giorgio si trasformò in re Giorgio, celebrato addirittura nel 1982 da una copertina di Time: trovarono successo, soldi, fortuna.

La scomparsa di Galeotti

Una fortuna poco dopo funestata da una notizia: Sergio Galeotti era ammalato. Sergio e lui formavano una coppia di lavoro molto forte, un po’ meno forte nel privato. Mi ricordo che da ragazzo incrociavo Galeotti nelle discoteche di Milano che allora andavano molto di moda: era un grande corteggiatore di modelli americani.

Galeotti era un uomo molto simpatico, molto più bello di quello che si vede nelle foto. Si ammalò e Armani, ricordava spesso, fu messo di fronte al dolore più grande di tutta la sua vita: la morte di Sergio. Era il 1985, a solo 40 anni.

Affrontare il dolore

Molti pensavano che Armani non ce l’avrebbe fatta a continuare il lavoro da solo, senza la genialità imprenditoriale di Galeotti.

Si sbagliavano: Armani non solo si era confermato un grande stilista (parola coniata proprio pensando al suo lavoro di stile), ma si rivelò anche un grande imprenditore. In suo aiuto arrivarono immediatamente i familiari.

Era nato a Piacenza (la sua erre moscia è tipica dei piacentini) nel 1934 da una madre bellissima, Maria, da un padre, Ugo, impiegato, che avrebbe poi trovato lavoro a Milano nel dopoguerra.

Morto Galeotti, divenne fondamentale per Giorgio il fratello Sergio, più grande e bellissimo come lui, che si occupò di finanza. E iniziò a lavorare con lui anche Rosanna, più come ufficio stampa che sul fronte creativo, anche perché come ufficio stampa, fino al 1986, avevano un genio della comunicazione come Barbara Vitti.

Ma Rosanna gli è sembra stata accanto, come il figlio di lei, Andrea Camerana, come le cugine nel consiglio di amministrazione del gruppo Armani e marito della cantante Alexia, che gli ha dato due figlie.

L’incontro con Leo

Credo fosse il 1987 e a una serata alla Scala dove ero come giornalista vidi accanto a Giorgio Armani per la prima volta Leo Dell’Orco.

Era timido, non parlava, una figura molto discreta, ma dotata di un suo carisma e soprattutto di una grande eleganza, un’eleganza che partiva dalla Puglia, dai suoi ulivi, dal suo mare. La sua famiglia infatti è di Bisceglie.

La forza della famiglia

È per questo che dico che mi sembra strano che Armani si rammaricasse di aver messo il lavoro prima dell’amore, prima dei sentimenti: lui attraverso il lavoro era riuscito a creare un legante fortissimo tra chi gli voleva bene.

Silvana aveva iniziato collaborando alla creazione degli abiti di Emporio Armani ed era risultata subito bravissima.

Aveva ereditato il talento dallo zio, quello zio che le aveva fatto sempre un po’ paura («Era timido, riservato, molto serio, per fortuna c’ era già Galeotti, che invece era giocoso, allegro, sempre con la battuta pronta» ricorda).

Il rapporto con i divi

Roberta cominciò ad occuparsi delle celebrities che indossavano i capi Armani, dei divi americani, forte anche del fatto di essere assolutamente bilingue, inglese italiano parlati allo stesso modo.

Trovò anche l’amore, un amore blasonato, Angelo Moratti, figlio del petroliere Gianmarco e di Lina Sotis, grande giornalista esperta di bon-ton, ma fu un matrimonio breve.

Poi arrivarono per lei amori più famosi tra cui Vittorio Brumotti, inviato di Striscia la notizia.

Non solo lavoro

Armani sapeva anche divertirsi: lo vedevi a teatro, al cinema, mai agli avvenimenti mondani. La sua vita era fatta anche di uscite con gli amici e di vacanze.

Amava anche scherzare: mi ricordo una cena a Pantelleria dove un certo punto mia moglie Betta Guerreri era stata buttata in piscina vestita.

Lei riemerse ridendo, ma appena fuori dall’acqua spinse Armani in acqua. Ci fu un momento di gelo: aveva spinto il Maestro. Ma quando anche lui riemerse ridendo come un matto il gelo si sciolse e giù risate.

L’uomo che seppe amare

Ecco questa è l’immagine che voglio ricordare di Giorgio Armani: un uomo felice, sorridente e che ha saputo ritrovare il sorriso nonostante i grandi dolori.

Ripeto, la sua non è stata solo una vita dedicata al lavoro. Il suo successo è partito soprattutto dall’amore. Bisogna amare perché è la cosa giusta. Re Giorgio prima di essere l’imperatore della moda è stato soprattutto un uomo che ha saputo amare.

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