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Quando la cucina entra nei romanzi: il riconoscimento Unesco e la narrativa che ha anticipato il valore del cibo

La cucina italiana è patrimonio immateriale dell’umanità, in quanto «intreccio culturale e sociale di tradizioni culinarie». A sancirlo, lo scorso 10 dicembre, è l’Unesco, il quale ha messo insieme tavola e cultura: un binomio su cui, almeno negli ultimi anni, la narrativa italiana aveva già investito. Spaghetti all’assassina Il caso più noto, senza pescare lontano,…
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La cucina italiana è patrimonio immateriale dell’umanità, in quanto «intreccio culturale e sociale di tradizioni culinarie». A sancirlo, lo scorso 10 dicembre, è l’Unesco, il quale ha messo insieme tavola e cultura: un binomio su cui, almeno negli ultimi anni, la narrativa italiana aveva già investito.

Spaghetti all’assassina

Il caso più noto, senza pescare lontano, è quello dell’autrice pugliese di «gialli» Gabriella Genisi, la creatrice della serie di romanzi incentrati sulla vicequestora Lolita Lobosco che, sui palinsesti Rai, ha trovato personificazione nella splendida Luisa Ranieri. Un’eroina nata, cresciuta e pasciuta in quel di Bari, dalla vita sentimentale direttamente proporzionale alla sua bellezza e, nondimeno, con una passione culinaria parimenti movimentata. Negli episodi di Lolita, infatti, non mancano mai le specialità pugliesi, con tanto di ricette appuntate nelle ultime pagine: in Spaghetti all’assassina, anzi, romanzo del 2015, titolo e vicenda si focalizzano su quella che negli ultimi anni è diventata la ricetta tipica della baresità, tanto da scalzare (o quasi) lo storicizzato patate, riso e cozze.

«Il riconoscimento della cucina italiana come Patrimonio dell’Umanità – dice a proposito la Genisi – è un risultato che premia ogni italiano che fa del cibo non solo un alimento ma un insieme di valori, cultura, tradizioni e sentimenti. Soprattutto in alcune regioni, come la Puglia, la cucina tradizionale è un modo di amare, di voler bene, di rinsaldare i legami. È quello che racconto nei miei libri, dove alla narrazione si intrecciano le ricette della tradizione, preparate da Lolita Lobosco per accompagnare i momenti felici ma anche quelli malinconici. Tra panzerotti, focaccia e calzoni di cipolla, c’è tutto il nostro stile di vita, apprezzato e adesso riconosciuto dall’umanità».

Sicilia e Napoli

A fare da apripista, in realtà, furono le «minne» narrate dalla siciliana Giuseppina Torregrossa che, già nel 2009, mise in relazione le tipicissime cassatine catanesi di Sant’Agata con temi tutt’altro che frivoli, quali il patriarcato, l’emancipazione femminile e, non ultimo, il tumore al seno. Il conto delle minne, com’è il titolo del romanzo, racconta proprio la storia di Agata prima e dopo la malattia: partendo dalla tradizione culinaria siciliana, la scrittrice – che è anche ginecologa, nonché donna operata al seno – affronta un tema doloroso, calandolo in una storia familiare che fa della preparazione delle minne di Sant’Agata (sempre a coppia, mai singole) il proprio ceppo originario.

Ma il cibo è anche sistema di gesti, memorie, linguaggi. Lo sa bene Elena Ferrante – chiunque ella sia – che nella tetralogia de L’amica geniale tratta sfogliatelle, pasta e patate e dolci natalizi della tradizione napoletana non per sedurre il lettore, piuttosto per restituire ritmi e atmosfere della vita quotidiana partenopea, non senza sottolineare appartenenze e diseguaglianze sociali. Idem anche per Alessio Forgione, scrittore meno noto ma altrettanto interessante, la cui Napoli contemporanea da lui narrata vive il pasto in senso viscerale, a volte persino alla stregua di un presagio, come in una scena di Giovanissimi nella quale i pesci preparati dal padre del protagonista sembrano «due corpi nudi e bianchi, in spiaggia a prendere il primo sole dell’anno».

C’è anche il nord

E il nord? È presente, naturalmente. Lo sanno bene due giallisti di spessore: Marco Malvaldi e Filippo Venturi. Il primo, autore della serie del BarLume – anch’essa trasposta in TV – ambienta le sue storie noir nella Maremma Toscana e già nel 2011, con Odore di chiuso, faceva comparire sulla scena nientemeno che Pellegrino Artusi, baffuto e ingombrante cuoco con fama di letterato (e viceversa) chiamato a indagare sull’omicidio di un maggiordomo, con tanto di cliché ribaltato. Quanto al secondo, al pari della collega Genisi, può vantarsi di aver piazzato già nel titolo di un suo noto romanzo del 2018 tutto il potenziale di una storia che fa del simbolo culinario di Bologna il vero protagonista: Il tortellino muore nel brodo.

Chiude la carrellata il magistrato-scrittore Giancarlo De Cataldo che, proprio nel 2025, è tornato in libreria con un titolo ch’è tutto un programma: Un cadavere in cucina.

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