«Questa classifica è diventata ormai una consuetudine negli ultimi anni. Ma va letta con una certa dinamicità e analizzata nel complesso dei suoi indici». A spiegarlo è il professor Sergio D’Angelo, sociologo del lavoro e dell’organizzazione.
Professore, dalla classifica emerge come il Mezzogiorno, sebbene alcuni indicatori registrino un miglioramento, ancora arranchi rispetto al resto d’Italia. Come mai? E come possono essere letti i dati della classifica stilata da ItaliaOggi e l’università La Sapienza?
«In questa classifica, che ha diversi indicatori e una serie di indici complessi, qualche città guadagna posizioni e altre ne perdono, ma viene sostanzialmente confermata la dinamica che ben conosciamo. Il Meridione ancora sconta dopo tanti anni dalla nascita della “questione meridionale” nel dopoguerra, rimane un dualismo, come viene chiamato dagli esperti, strutturale che divide il Nord dal Sud. Dualismo che viene accentuato ancora di più se si vanno a guardare non le metropoli, come possono essere Bari e Napoli, ma i piccoli paesi e le aree più interne. Qui valgono dinamiche differenti. Se consideriamo il dualismo dal punto di vista delle città minori è ovvio che la differenza è sostanziale, soprattutto per quel che riguarda gli indicatori che misurano livelli di benessere come Sanità, Trasporti, accesso alle Università che hanno un certo prestigio e Istruzione».
In questi campi cosa cambia?
«Fino a qualche decennio fa avevamo uno dei sistemi sanitari pubblici migliori. Adesso ci avviamo velocemente verso standard qualitativi che spesso lasciano a desiderare per inefficienza e mancanza di risorse. Stesso discorso per il sistema formativo: i licei italiani erano tra i più completi e migliori in Europa, oggi purtroppo non è più così. Il sistema dei Trasporti è peggiorato anche al Nord Italia, anche se qui va sottolineato che il Mezzogiorno ha sempre sofferto di una carenza strutturale importante. Per fare un esempio, basti pensare che per percorrere la Puglia da nord a sud, il viaggio diventa una scommessa».
Alla luce di queste considerazioni come possiamo leggere la classifica?
«Va letta non in maniera statica ma dinamica, anche in merito alle città che guadagnano e perdono posizioni. Dire che Milano è la città più vivibile d’Italia è vero solo per quei milanesi che hanno un reddito medio alto e che vivono in centro o nei pressi del centro cittadino e che hanno attività che permettono loro di godere dei servizi che la città offre. Altrimenti vivere in una periferia milanese con un reddito non adeguato è simile, come qualità della vita allo stare in molte realtà del Meridione. Si tratta di differenze che vanno colte e sottolineate. Prendiamo queste classifiche con il beneficio di inventario, soprattutto nelle differenze tra grandi città e piccoli centri».
Il Sud però arranca soprattutto dal punto di vista lavorativo, Taranto ne è un esempio secondo la classifica. Come mai?
«Questa è una caratteristica strutturale del Mezzogiorno. Se si è giovani, istruiti e donne, la percentuale di possibilità di rimanere inoccupati è molto elevata. Il che è paradossale, se si pensa che in Italia c’è un numero di laureati inferiore rispetto al resto d’Europa. Purtroppo scontiamo una disoccupazione legata alla scarsa richiesta di lavori qualificati. L’offerta al Sud riguarda più la manodopera ed è anche pagata peggio. I laureati trovano molte difficoltà a rimanere nei loro luoghi di origine».
