I passi avanti registrati in Consiglio europeo sul processo di allargamento della Ue soddisfano Giorgia Meloni, soprattutto per quanto riguarda la Bosnia Erzegovina (paese per il quale il governo italiano si è molto speso nelle trattative). Ma altrettanto non si può dire sul tema della revisione del bilancio, dove manca ancora l’intesa definitiva, e soprattutto in materia di Patto di stabilità, argomento che non è stato toccato nel corso del summit di Bruxelles ma del quale si è parlato, e a lungo, nelle interlocuzioni a margine. Per queste ragioni la premier italiana al termine della missione europea parla di Consiglio in «chiaroscuro».
Non è certo una Meloni raggiante quella che si presenta davanti ai cronisti all’Europa Building e il motivo è presto detto. «Non siamo riusciti a trovare una soluzione sulla revisione del bilancio pluriennale, anche se una soluzione, a mio avviso, è alla portata. Non sono pessimista sul fatto che si possa raggiungere nel prossimo Consiglio europeo», spiega l’inquilina di Palazzo Chigi tracciando un primo bilancio del vertice.
Nella proposta di compromesso sulla revisione di medio termine dell’Mff 2021-27 concordata dai 26 nel Consiglio europeo la notte scorsa e bloccata dal veto dell’Ungheria si prevede l’assegnazione di 9,6 miliardi di euro al capitolo ‘migrazioni e dimensione esterna’ e di 1,5 miliardi per Step (Strategic Technologies for Europe Platform), il programma che è quanto resta del progetto della Commissione europea di creare un fondo sovrano Ue, prima annunciato e poi abbandonato. Il testo incontra il favore di Roma, perché, spiega la stessa Meloni, contiene «tutte le priorità che l’Italia aveva posto dalla flessibilità sui fondi esistenti ai migranti. C’è stato un punto, in questa trattativa, in cui sulle migrazioni non era previsto niente e adesso siamo arrivati quasi a 10 miliardi da spendere in particolare sulla dimensione esterna. Un grande risultato, – esulta la premier italiana, – se riusciremo a confermarlo al prossimo Consiglio europeo». Ma il vero convitato di pietra del summit di Bruxelles è stato il Patto di stabilità. La riforma del Patto «non è stata oggetto dei lavori del Consiglio» ma, dice la premier, «ci sono state interlocuzioni a margine» in questi giorni di trattative.
Il tema è rimandato all’Ecofin del prossimo 20 dicembre, prosegue la presidente del Consiglio, ammettendo che «le posizioni sono ancora abbastanza distanti». Davanti al Senato Meloni ha agitato lo spauracchio del veto italiano, ma, quando le viene chiesto di questa opzione, le dichiarazioni della premier assumono una sfumatura meno ‘bellicosa’: «Non la voglio mettere così perché non è un buon modo di cercare delle sintesi con gli altri… Ho detto in Parlamento e ripeto: l’unica cosa che non posso fare è dare il mio ok a un Patto che non io, ma nessun governo italiano potrebbe rispettare. Perché sarebbe ingiusto e non sarebbe utile per noi». L’obiettivo è «ottenere un Patto che ci offra le condizioni per fare seriamente il nostro lavoro», insiste la fondatrice di Fdi, che ha visto anche la presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen prima dell’inizio dei lavori: «Noi non chiediamo una modifica del Patto per gettare soldi dalla finestra, chiediamo una modifica che ci consenta di fare quello che riteniamo giusto fare e che l’Europa si è data come strategia – parlo degli investimenti – senza essere per questo colpiti. Perché sarebbe una strategia miope: ma non per l’Italia, per l’Europa».