Nove alpinisti sono morti per le forti tempeste di neve e valanghe che negli ultimi giorni hanno colpito l’Himalaya nepalese. Tra loro hanno perso la vita anche cinque italiani, in due distinti incidenti.
Lunedì una valanga ha travolto un gruppo di dodici persone al campo base dello Yalung Ri, a 5.630 metri: sette le vittime, tra cui tre italiani, due nepalesi, un tedesco e un francese. Nel Nepal occidentale, invece, altri due italiani — Alessandro Caputo e Stefano Farronato — hanno perso la vita durante la scalata al monte Panbari (6.887 metri).
I contatti con loro si erano interrotti venerdì, quando una tempesta di neve li aveva sorpresi al Campo 1, a quota cinquemila metri. A dare l’allarme è stato il capospedizione Valter Perlino, rimasto al campo base per un malore che, probabilmente, gli ha salvato la vita.
Le ricerche dei dispersi proseguono tra enormi difficoltà: la zona è isolata, il meteo instabile e le comunicazioni quasi impossibili. Il Consolato italiano a Calcutta e quello onorario a Kathmandu seguono da vicino la situazione, in costante contatto con le autorità locali e i familiari delle vittime.
Il Panbari, aperto alle spedizioni straniere solo dal 2002, è una delle montagne più remote e pericolose del Nepal. Le forti nevicate, provocate dal ciclone Montha, hanno reso impraticabili i soccorsi e interrotto i voli. «È stata una sfida continua per la scarsa visibilità», raccontano le autorità nepalesi. L’Himalaya torna così a ricordare, ancora una volta, la sua bellezza estrema e il suo terribile rischio.