I magistrati italiani hanno sospeso il giudizio sulla convalida del trattenimento dei migranti nell’hotspot italiano di Shengjin e Gjader in Albania, rimettendo tutto nelle mani della Corte di giustizia europea che dovrà esprimersi entro fine febbraio. Ma la sostanza non è cambiata: i richiedenti asilo sono stati liberati.
Nel frattempo arrivano le storie dei migranti che hanno lasciato il loro paese in cerca di speranza, per loro stessi e per la loro famiglia. Uno di loro è Hassan, uno dei 43 migranti che si trova nel centro per il rimpatrio di Gjader.
«Non avrei mai rischiato la vita e accumulato debiti se avessi saputo che mi sarei ritrovato in Albania». Lui è uno dei 43 migranti che si trovano nel centro di Gjader, in Albania. Hassan è egiziano, faceva il falegname a Mansura, ma con quello che guadagnava non riusciva a mantenere la sua famiglia e così ha deciso partire, lasciando la moglie e i figli, per cercare un futuro migliore in Libia.
Appena arrivato, è stato fermato da una milizia locale che, non avendo ricevuto il pagamento richiesto per il passaggio in Libia, lo ha preso in custodia. È stato trasferito in un magazzino al confine con la Tunisia, a Zwara, dove è stato rinchiuso insieme ad altri migranti in condizioni disumane e «costretto a dormire a terra tra insetti e sporcizia».
A Zwara i miliziani gli hanno chiesto di fornire un contatto della sua famiglia in Egitto per chiedere un riscatto, fissando il prezzo della sua liberazione in base alla nazionalità, secondo un vero “listino del traffico di esseri umani“.
Hassan è stato torturtato per indurre la famiglia a pagare 5.000 dinari libici (circa 1.000 euro) per rimetterlo in libertà. Ma una volta fuori, la sua condizione non è migliorata. Così ha deciso di affidarsi ai trafficanti per traversare il Mediterraneo pagando 25mila dinari libici (5mila euro).
Una volta superate le acque internazionali, lui e gli altri passeggeri sono stati identificati dalla Guardia Costiera italiani e quelli privi di documenti, tra cui lui e altri sei, sono stati trasferiti su una nave e portati in Albania, a Shingiin, dove sono rimasti un giorno senza poter dormire.
All’inizio «non ho capito il motivo del trasferimento – racconta – solo il giorno dopo, le autorità ci hanno spiegato la procedura». A Gjader i migranti hanno a disposizione 2 telefonini per le chiamate internazionali e altri tre che possono effettuare chiamate online dalle piattaforme come Telegram e Whatsapp.
Nel frattempo le opposizioni continuano a tenere alta la tensione col governo mettendo nel mirino gli elevati costi e l’utilità delle strutture costruite a Shengjin e Gjader, oltre al dover assicurare ai migranti delle condizioni umane.
Tra chi ha messo in dubbio l’intera operazione c’è l’ex premier Romano Prodi: «Non si poteva fare in Calabria? – ha chiesto il professore – Perché in Albania? Non ha alcun senso. La politica per l’immigrazione deve essere una politica seria severa, anche selettiva, ma seria e non con questi giochi che riguardano soltanto la propaganda».
Da Lega e Fratelli d’Italia arriva la replica: «Il redivivo leader Pd Romano Prodi chieda subito scusa alla Calabria e ai calabresi. Prodi conferma quello che le numerose inchieste della magistratura hanno dimostrato fino ad ora, ovvero il fatto che proprio quella sinistra vede nell’immigrazione irregolare una fonte di reddito e la sfrutta per lucrare».
E ancora: «Mi pare che Prodi abbia sbagliato colpo, probabilmente perché confuso da qualche calabrese vicino a lui protagonista di un’assurda denuncia contro il governo proprio in questi giorni…»