L’esposto di ActionAid depositato alla Corte dei Conti per denunciare lo spreco di risorse «dell’operazione Albania», anche se passato in sordina su gran parte della stampa nazionale, di fatto riporta in primo piano la questione dei Cpt (Centri di permanenza per il rimpatrio) e soprattutto sull’operazione compiuta dal governo italiano realizzando a Gjader un Centro trattamento richiedenti asilo da 880 posti con annesso Cpt da 140 posti.
Il problema, che poi è la misura di una decisione fallimentare, è che ora lì non c’è in pratica nessuno, salvo un richiedente asilo spostato dal centro di Palazzo San Gervasio (in Basilicata). In Italia in tutto i Cpt sono 11, di cui due in Puglia a Bari e a Brindisi, il primo gestito da un ente no-profit e l’altro da un soggetto for-profit.
«La procura regionale del Lazio – afferma ActionAid – dovrà valutare se esercitare l’azione erariale alla luce delle violazioni contestate». Mentre all’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) sono state segnalate presunte irregolarità nell’affidamento dell’appalto da 133 milioni di euro per la gestione dei centri: «non è stata verificata nemmeno – aggiunge – la rilevanza internazionale dell’appalto, che avrebbe richiesto una procedura più trasparente e aperta». A giudizio di ActionAid si tratta di uno «sperpero ingiustificabile» di risorse pubbliche. La decisione di ActionAid scaturisce da quello che è un rapporto «Trattenuti – Una radiografia del sistema detentivo per stranieri» redatto dalla stessa associazione con l’Università di Bari con il coordinamento scientifico e raccolta dati a cura del professor Giuseppe Campesi, docente di Scienze politiche dell’ateneo barese.
Chiariamo subito che i Centri di permanenza per il rimpatrio sono strutture detentive deputate a trattenere gli stranieri destinatari di un provvedimento di allontanamento in attesa della sua esecuzione. Il ricorso alla detenzione amministrativa è legittima soltanto nella misura in cui è funzionale all’esecuzione del rimpatrio. Negli ultimi anni in Italia, oltre gli 11 esistenti non se ne sono costruiti altri, spesso anche per l’opposizione delle popolazioni residenti. Si è parlato negli ultimi tempi della costruzione di un centro a Trento ma per ora nulla di realizzato, l’ultima opera è quella di un centro off-shore che è appunto quello di Gjader in Albania. La tendenza italiana ma anche di altri Paesi europei che ricevono il maggior numero di sbarchi di migranti, cioè Grecia e Spagna è quello di trattenere queste persone o nei luoghi vicini allo sbarco (Lampedusa per esempio) o in isole come Lesbo in Grecia, una nazione che ha enormi strutture di accoglienza sparse nelle isole dell’Egeo. Strutture che sono state finanziate direttamente della Commissione europea. In queste isole i migranti sono liberi di circolare ma non possono lasciare il territorio, stesso discorso per la Spagna che ha diversi centri nelle isole Canarie, ben distanti dalla penisola iberica.
Insomma è l’idea del confino, non molto diverso dallo spirito che ha alimentato la realizzazione del centro in Albania, ma, in questo caso con un aumento di costi enorme. Dopo lo stanziamento dei primi 39 milioni di euro circa, c’è stato il passaggio di competenze al ministero della Difesa che ha fatto salire la cifra a 65 miloni e ha firmato contratti per oltre 74 milioni, quasi tutti tramite affidamenti diretti ed erogato più di 61 milioni per gli allestimenti. A Gjader gestire un posto, per soli due mesi e con il centro semideserto, costa circa 1500 euro, quanto si è speso per tutto il 2024 a Modica.
Da marzo scorso è iniziata una nuova fase con i trasferimenti in Albania di persone già trattenute in un Cpr italiano. Ma destinate, dato che l’Italia non si accollerà il trasferimento delle stesse nei Paesi di origine, spesso molto lontani, a tornare in Italia e ricevere il foglio di via con obbligo di rimpatrio entro 7 giorni, in pratica destinati a diventare migranti irregolari.