La Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha dichiarato inammissibile un ricorso presentato da migranti che accusavano l’Italia di averli respinti “per procura” in Libia durante un salvataggio in mare nel novembre 2017. In diciassette, provenienti da Nigeria e Ghana, avevano presentato ricorso alla Cedu nel maggio 2018 in merito alle condizioni del loro salvataggio al largo delle coste libiche, quando facevano parte di un gruppo di circa 150 persone a bordo di un gommone.
Il caso
Allertato da un segnale di soccorso, il Centro di Coordinamento del soccorso marittimo di Roma ha inviato una richiesta alle imbarcazioni vicine per soccorrere i migranti. Tra queste imbarcazioni, si prevedeva che una nave libica, la Ras Jadir, avrebbe raccolto circa 45 persone, tra cui due dei ricorrenti. Secondo quanto hanno riferito questi ultimi, «sono stati legati, picchiati e minacciati; sono stati condotti in un campo di detenzione a Tajura, in Libia, dove hanno subito maltrattamenti e violenze», come ricordato in un comunicato stampa della Cedu. Due ricorrenti hanno inoltre denunciato la morte dei loro figli durante l’affondamento del gommone, causato dall’arrivo dell’imbarcazione libica, secondo la stessa fonte.
Tuttavia, i giudici di Strasburgo hanno stabilito che il salvataggio è avvenuto in acque internazionali e che la zona non era «di fatto sotto l’effettivo controllo dell’Italia».
La motivazione
«Il capitano e l’equipaggio della nave libica hanno agito in modo autonomo» e non vi sono prove che suggeriscano che il Centro di Soccorso di Roma avesse «il controllo sull’equipaggio di questa nave e fosse in grado di influenzarne in alcun modo il comportamento», affermano i giudici di Strasburgo. «La Corte conclude che i ricorrenti non rientravano nella giurisdizione italiana (…) Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile», si legge.