Liste di attese lunghissime, confusione nei centri convenzionati, Cup bloccati, direttive non emanate, sistema in tilt. È ciò che sta accadendo dal 1 gennaio in Italia e soprattutto al sud. In teoria il nuovo nomeclatore allarga i Lea, fa rientrare, tra le altre cose, nei livelli essenziali anche la Procreazione medico assistita, in teoria è perfetto, in pratica è tutt’altro.
Il tariffario nazionale, introdotto con il Decreto Ministeriale del 25 novembre 2024, avrebbe dovuto garantire uniformità e correttezza nell’erogazione delle prestazioni sanitarie. Tuttavia, la realtà si è rivelata ben diversa, generando preoccupazioni tra gli operatori e incertezze per i cittadini.
In Puglia e in Basilicata
Che cosa accade? Molti utenti pugliesi e lucani si sono ritrovati in difficoltà a prenotare una visita specialistica, un esame diagnostico o di laboratorio perché alcuni Cup non hanno aggiornato i codici entrati in vigore a inizio anno. Non solo. C’è anche chi ha impegnative con codici vecchi, ma si trova con centri che hanno un sistema aggiornato e voilà non si sa come fare, come prenotare, come poter accedere ad un servizio magari atteso da mesi. Una vera follia che si sta ripercuotendo su tutti i sevizi sia essi pubblici che in convenzione.
Visita ginecologica? Non c’è
E non è finita qui. I medici di base hanno difficoltà a prescrivere esami o visite perché riportate nel nuovo nomenclatore sotto altro nome o accorpate. Facciamo degli esempi, la visita ginecologica non esiste più, ma c’è quella uroginecologica che però non rientra nelle specialistiche.
La cardiologia
L’elettrocardiogramma? Non è mutuabile a meno che non si faccia insieme ad una visita cardiologica e dunque ha un altro codice, sconosciuto ai medici prescrittori. In poche parole il nuovo nomeclatore, senza una giusta informazione sta creando solo una grande confusione, addirittura allungando le liste di attese. E poi c’è la protesta dei centri convenzionati che, piaccia o no, con le nuove direttive sono pronti a chiudere i battenti, perchè se un esame sul papilloma virus viene pagato quanto il costo di un kit non conviene più a nessuno farlo. Da qui il ricorso al Tar del Lazio fatto da un centinaio di ospedali e centri convenzionati il cui responso si attende per il prossimo 28 gennaio.