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L’intervista a Nino Cartabellotta: «Abbiamo una grave carenza di risorse umane»

«Il nostro finanziamento pubblico ci colloca al 16esimo posto in Europa. Occorre almeno allinearlo alla media europea: ma il gap, calcolato al 2020, è ancora di € 12,7 miliardi». È perentorio Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe e coordinatore dell’osservatorio scientifico sul Sistema nazionale sanitario (Ssn). Che dice chiaramente: «Bisogna tornare a investire in capitale…

«Il nostro finanziamento pubblico ci colloca al 16esimo posto in Europa. Occorre almeno allinearlo alla media europea: ma il gap, calcolato al 2020, è ancora di € 12,7 miliardi». È perentorio Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe e coordinatore dell’osservatorio scientifico sul Sistema nazionale sanitario (Ssn). Che dice chiaramente: «Bisogna tornare a investire in capitale umano».
L’offerta di servizi e prestazioni sanitarie non è omogenea in Italia. Quali sono le cause di queste diseguaglianze?
«Le diseguaglianze regionali, oltre che dal contesto politico e sociale, affondano le radici nella riforma del titolo V del 2001 con strumenti messi in atto dallo Stato che si sono dimostrati inadeguati. In particolare, i Piani di rientro – che riguardano tutte le Regioni del Centro-Sud eccetto la Basilicata – hanno anteposto l’obiettivo del riequilibrio finanziario a quello dello sviluppo dei servizi, con conseguente aumento delle diseguaglianze e della “migrazione” sanitaria. Peraltro, con l’eventuale attuazione del regionalismo differenziato, che assegnerebbe maggiori autonomie in sanità ad alcune Regioni del Nord, il gap rischia di ampliarsi ulteriormente. Tuttavia esistono anche altre diseguaglianze: tra aree urbane e rurali, tra uomini e donne, correlate al grado di istruzione e di reddito. Ovvero, a dispetto del principio fondante dell’universalismo, nei fatti il SSN garantisce solo una “salute diseguale”».
Con il Covid, il finanziamento ordinario è aumentato ma è ancora insufficiente a coprire i bisogni di salute. Ritiene che debba essere ulteriormente aumentato?
«Negli anni 2020-2022 il finanziamento pubblico per la sanità è aumentato di 11,2 miliardi, rispetto agli 8,4 del decennio 2010-2019. Ma il rilancio del finanziamento è stato dettato dall’emergenza pandemica e non dalla volontà politica di rafforzare in maniera strutturale il SSN. Considerato che il nostro finanziamento pubblico ci colloca al 16esimo posto in Europa, bisognerebbe allinearlo almeno alla mediaeuropea: ma il gap, calcolato al 2020, è di circa 12,7 miliardi. Inoltre bisognerebbe indirizzare buona parte delle risorse per rilanciare le politiche sul capitale umano in sanità: investire sul personale sanitario, programmare il fabbisogno di medici, specialisti e altri professionisti, riformare i processi di formazione e valutazione delle competenze, al fine di valorizzare e motivare la colonna portante del SSN».

I cambiamenti sociali, come l’allungamento della vita, rendono i servizi del Ssn inadeguati o no?
«Indubbiamente il modello di offerta dei servizi sanitari di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione non è allineato ai bisogni di salute della popolazione. In particolare, accanto agli scarsi investimenti in prevenzione, che rimane la cenerentola della sanità, la grande sfida è l’integrazione di servizi sanitari e sociali per le persone con malattie croniche. Ad esempio in un paziente affetto da Alzheimer è impossibile tracciare una linea netta tra i bisogni sanitari e quelli sociali e, di conseguenza, offrire i servizi appropriati. Oltre, ovviamente, alla ben nota integrazione tra ospedale e territorio, di cui si parla da oltre 30 anni, ma che rimane una grande incompiuta».

Com’è cambiato il SSN dopo la pandemia? In caso di nuova emergenza, come dovrebbero strutturarsi i servizi, sia ospedalieri che territoriali?
«Purtroppo le criticità rilevate dal 4° Rapporto GIMBE nel 2019 sono rimaste sostanzialmente irrisolte, fatta eccezione per il rilancio del finanziamento pubblico. Inoltre, se la pandemia da un lato non ha ancora mollato la presa, dall’altro sta già presentando il conto dei suoi effetti a medio-lungo termine: dal ritardo nell’erogazione di prestazioni chirurgiche, ambulatoriali e di screening che hanno ulteriormente allungato le liste di attesa ai nuovi bisogni di salute, in particolare long-COVID e salute mentale. Ma soprattutto l’ulteriore indebolimento del personale sanitario: pensionamenti anticipati, burnout e demotivazione, licenziamenti volontari e fuga verso il privato lasciano sempre più scoperti settori chiave del SSN, in particolare i Pronto Soccorso, e deserti i numerosi concorsi. Per far fronte alla domanda di personale si ricorre così ad insolite modalità: cooperative di servizi, reclutamento di medici in pensione e chiamate di medici dall’estero».
Il PNRR permetterà di rilanciare il SSN?
«Si tratta di una grande opportunità, ma per poter ridurre le diseguaglianze regionali ed ottenere il massimo ritorno di salute dalle risorse investite, è necessario predisporre le adeguate contromisure per fronteggiare le numerose criticità che ne ostacolano l’attuazione. Differenze regionali (modelli organizzativi e performance dell’assistenza territoriale, stato di attuazione del fascicolo sanitario elettronico), carenza di personale, eterogeneità delle modalità contrattuali vigenti sul territorio, scarsa attitudine alla collaborazione inter-professionale, offerta del privato accreditato, analfabetismo digitale di professionisti sanitari e cittadini, tempi di attuazione della legge delega sugli appalti pubblici, carico amministrativo di Regioni e Aziende sanitarie, aumento dei costi delle materie prime e, soprattutto, dell’energia».

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