Per la Corte costituzionale «non è irragionevole» che il limite dei mandati dei sindaci dei Comuni italiani dipenda dalle dimensioni degli stessi. Per i sindaci dei Comuni con popolazione fino a 5mila abitanti non c’è alcun limite ai mandati, per i primi cittadini dei paesi con una popolazione compresa tra 5.001 e 15mila abitanti il limite di mandati è pari a tre mentre per i sindaci dei Comuni con popolazione superiore ai 15mila abitanti resta fermo a due mandati consecutivi.
È quanto ha disposto la Consulta dichiarando infondate le questioni di legittimità costituzionali, proposte dalla Regione Liguria, in riferimento a modifiche al testo unico degli enti locali.
Per la Consulta non è manifestamente irragionevole la scelta legislativa di stabilire, a seconda della dimensione demografica dei Comuni, un limite ai mandati consecutivi dei sindaci, sempre che essa realizzi un equo contemperamento tra i diritti e i principi costituzionali che vengono in considerazione.
La Regione Liguria riteneva che la nuova disciplina – si legge in una nota della Corte costituzionale – violasse diversi parametri costituzionali, risultando in particolare irragionevole la previsione di due o tre mandati consecutivi a seconda del dato dimensionale del Comune: di qui la richiesta di estendere anche ai sindaci dei Comuni con popolazione superiore a 15mila abitanti il limite di tre mandati consecutivi.
La Corte ha ribadito che la previsione del numero massimo dei mandati consecutivi è scelta normativa idonea a bilanciare l’elezione diretta del sindaco con l’effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità degli enti locali.
Il punto di equilibrio tra tali contrapposti interessi costituzionali deve essere fissato dal legislatore ed è sindacabile solo se manifestamente irragionevole. «L’attuale art. 51, comma 2, del t.u. enti locali pone limiti diversi ai mandati consecutivi secondo una logica graduale, sul presupposto che tra le classi di Comuni nei quali si articola l’attuale disciplina vi siano rilevanti differenze, in ordine agli interessi economici e sociali che fanno capo agli stessi: si tratta di un esercizio non manifestamente irragionevole della discrezionalità legislativa, che intende realizzare un equo contemperamento tra i diritti e i principi costituzionali che vengono in considerazione», conclude la nota della Consulta.