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L’Egeo come una luce che ti brucia il sangue, il mare è dappertutto nei ricordi di Venezis

Non so se esista davvero un’infanzia felice o se ogni felicità, a posteriori, non sia che una forma più sofisticata di nostalgia. Terra Eolica (Edizioni Medhelan) di Ilias Venezis nasce da questa ambiguità: la gioia che si trasforma in perdita nel momento stesso in cui la si ricorda. È il racconto di un bambino -…
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Non so se esista davvero un’infanzia felice o se ogni felicità, a posteriori, non sia che una forma più sofisticata di nostalgia.

Terra Eolica (Edizioni Medhelan) di Ilias Venezis nasce da questa ambiguità: la gioia che si trasforma in perdita nel momento stesso in cui la si ricorda. È il racconto di un bambino – Petros, alter ego dell’autore – cresciuto tra le colline dei Kimidenia, nella luminosa Eolide, una regione dell’Asia Minore che la storia ha cancellato. Quel mondo scomparso Venezis lo ricostruisce con una dolcezza quasi sacrale, come se scrivere fosse un modo di trattenerlo ancora un istante prima che il vento lo spazzi via.

Non c’è trama, o meglio: la trama è la vita stessa che passa. Il tempo non scorre in avanti ma in cerchio, come una preghiera che si ripete. «La terra riposa e rende fecondi i semi, e dal suo segreto lavorio arriva un minimo rumore che può giungere soltanto a un bambino». In questa attenzione assoluta per le cose – un fruscio, una voce, una luce – si nasconde il nucleo morale del libro: la convinzione che la realtà sia fragile e tuttavia degna di essere ricordata, anche quando scompare. Venezis mette su carta la fine di un’epoca. L’Eolide dei suoi ricordi è un mondo pacifico abitato dal presagio del disastro. Dietro ogni quiete domestica, dietro il mare e gli ulivi, si avverte l’ombra dell’esilio che verrà. «Il mare è dappertutto!» esclama il piccolo Petros, e non sa che quel mare presto inghiottirà tutto.

La dolcezza del lutto

Il miracolo di Terra Eolica è la sua voce. Venezis scrive con una tenerezza che non conosce rancore: la penna di un uomo che ha perso tutto e tuttavia sceglie di ricordare con gratitudine. Ogni gesto, ogni volto, ogni oggetto – una tovaglia, un albero, un suono notturno – diventa una preghiera. «Venezis non grida, sussurra», scrive Andrea Marcolongo nella prefazione. Ed è così, in queste pagine non scorre una retorica della nostalgia. Piuttosto, una lucidità dolente che trasforma il dolore in conoscenza. Come se l’autore avesse compreso che l’unico modo per sopravvivere alla distruzione è nominare ciò che è stato. Così la memoria diventa un atto morale: non un rifugio, ma una responsabilità. Terra Eolica non è un libro sul passato, ma sul modo in cui il passato continua a respirare nel presente. È una testimonianza, e insieme una forma di fede.

Il vento dell’Eolide soffia ancora, non solo tra le colline dell’Asia Minore, ma dentro chiunque abbia perduto una casa, una lingua, un tempo. Venezis lo sa, e lo affida alla letteratura, come si affida un messaggio al mare: «Così questa voce segreta diventa il più imperscrutabile legame fra le generazioni dei miei antenati e coloro che verranno». Leggerlo oggi significa lasciarsi attraversare da quel vento. Ascoltarlo. E capire che la memoria non serve a tornare indietro, ma a restare umani.

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