Lavoro, il 63% si dimette perché è una neomamma

Essere una mamma e una lavoratrice non è semplice. Lo conferma un dato che riporta che oltre 44 mila donne hanno lasciato il lavoro nel 2022 e tra le cause principali c’è appunto quella di conciliare il proprio impiego con il tempo da dedicare ad un figlio neonato. La relazione annuale sulle convalide delle dimissioni delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, presentate entro i primi tre anni dalla nascita dei figli, ha fotografato questa situazione. Nel complesso le dimissioni convalidate si attestano sulle 61.391 unità con un aumento del 17,1% rispetto al 2021.

Che a licenziarsi siano soprattutto le donne neomamme lo conferma il 72,8% dei provvedimenti, quindi 44.669 dimissioni convalidate. Quest’ultime hanno denunciato le difficoltà di conciliazione tra lavoro e vita privata. Tenere insieme i due impegni, come dimostra il 63% dei casi, è spesso una fatica, ma che spetta ancora alle donne, a differenza del 7,1% dei papà che hanno dato la stessa motivazione come causa delle dimissioni.

A differenza delle donne, infatti, i neopapà hanno affermato che la motivazione principale riguarda il passaggio a un’altra azienda (78,9%), motivazione che viene indicata solo dal 24% delle lavoratrici donne. Il 32,2% delle motivazioni relative alle difficoltà di conciliazione riguardano l’assenza di parenti di supporto, l’elevata incidenza dei costi di assistenza al neonato come asilo nido o baby-sitter e il mancato accoglimento al nido. Le restanti motivazioni possono invece riguardare le condizioni di lavoro particolarmente gravose.

La fascia d’età 29-44 anni occupa quasi l’80% dei destinatari delle convalide. Il maggior numero di tali provvedimenti riguarda papà e mamme con un solo figlio o in attesa del primo. Quasi il 60% del totale. Percentuali inferiori, per secondo o terzo figlio, dimostrano che all’aumentare del numero dei bambini peggiorano le condizioni di stabilità lavorative, ma che la sola prima maternità è sufficiente a mettere in crisi le donne che scelgono di diventare mamme.

Il maggior numero di dimissioni, inoltre, fa riferimento a ruoli qualificati come ‘impiegato’ e ‘operaio’ (92%), mentre è limitato il numero di provvedimenti relativi alle qualifiche di quadro e dirigente. Le dirigenti che lasciano sono in valore assoluto superiori agli uomini (410 contro 326). “Si deduce pertanto – scrive l’Ispettorato nazionale del lavoro – che la qualifica professionale non costituisce un deterrente all’uscita dal mercato del lavoro in condizione di genitorialità”. Di tutte le 44.699 convalide riferite a donne, la quota più consistente (il 32%) è legata alla microimpresa, poi alla grande (26,2%) e alla piccola (22,3%) ed infine alla media (15,5%). Di tutte le 16.692 convalide riferite a uomini, la quota più rilevante (35,2%) si colloca invece nella grande impresa, seguita dalla piccola (24,9%), dalla media (20,7%) ed infine dalla microimpresa (17,3%).

«Il fenomeno va inquadrato tra i diversi problemi che riguardano la partecipazione delle donne al mercato del lavoro – ha sottolineato Valentina Cardinali, responsabile struttura mercato del lavoro Inapp, come riporta il Corriere della sera -. Le donne in genere hanno redditi più basso, per cui nel momento in cui in una famiglia si decide di sacrificare uno dei due redditi perché manca un’alternativa valida (nonni a cui affidare i figli o servizi, ad esempio) inevitabilmente il reddito che viene sacrificato è quello femminile. Quindi spesso la scelta delle dimissioni delle donne è una scelta di convenienza familiare». La normativa inoltre prevede che le donne che lasciano il lavoro entro il primo anno di vita del bambino abbiano la possibilità di accedere alla Naspi. «La misura nasce con una finalità positiva ma poi di fatto si crea un effetto perverso per cui le donne che si dimettono ci rimettono in ogni caso. L’efficacia economica della Naspi, infatti, si esaurisce nel breve periodo. Ma una volta che una donna si è dimessa e di fatto è uscita dal mercato del lavoro fa molta fatica a rientrarvi», ha continuato Valentina Cardinali.

I servizi che mancano, sono, appunto: asili nido; supporto; tempistiche lavorative flessibili e condizioni economiche maggiormente favorevoli. Per invertire questa tendenza è quindi necessario impegnarsi su tali politiche che coniugherebbero un aumento delle occupazioni, un calo delle dimissioni per tali motivazioni e un possibile aumento della natalità, la cui decrescita apre a presagi non favorevoli per l’interna nazione.

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