La secessione anche nella “monnezza”, l’allarme: «L’aumento della Tari penalizza il Sud»

L’assemblea dell’Anci che si apre oggi a Torino è chiamata a decidere, principalmente, del successore di Antonio Decaro alla guida dell’associazione dei Comuni d’Italia, ma i temi saranno anche altri, sia pure non iscritti all’ordine del giorno. In modo particolare i sindaci si confronteranno sui temi della finanziaria e sulle conseguenze per le cassi degli enti locali. In queste ore, a esempio, dalle Alpi alla Sicilia, i sindaci si stanno mobilitando contro il prospettato aumento, dal 10 al 22 per cento, a partire dl prossimo anno, dell’Iva sui rifiuti conferiti in discarica. Una mazzata.

L’aumento

I Comuni per fare quadrare i conti saranno costretti ad aumentare la Tari. Praticamente, il governo fa cassa ma manda i sindaci come esattori a bussare alle porte dei cittadini. «È pura follia», afferma il sindaco di Rodi Garganico, Carmine D’Anelli che aggiunge «perché significa che i Comuni dovranno aumentare la Tari del 40 per cento». Una difficoltà enorme per le amministrazioni locali che dovranno fare attenzione ai bilanci e parare le lamentele dei cittadini, con ovvie conseguenze anche sul consenso elettorale.

Ma c’è anche un’altra questione che politicamente è più dirompente: l’aumento della percentuale finirà per incidere maggiormente nei Comuni del Mezzogiorno che non hanno ancora chiuso la filiera dei rifiuti, mentre le amministrazioni del centronord saranno avvantaggiate, con benefici per i cittadini. Insomma, una secessione della monnezza.

«Sono aumenti insostenibili che non lasciano spazio di manovra ai Comuni che per legge devono coprire i costi di raccolta e conferimento con la Tari», sottolinea Matteo Vocale, primo cittadino di San Nicandro Garganico che evidenzia «il governo mette le mani in tasca delle famiglie più povere, aumentando in pratica tasse che penalizzano già le famiglie in difficoltà, soprattutto al Sud». Un provvedimento che, dal 2025, porterà nelle casse del governo circa 148 milioni di euro all’anno.

La situazione

La Puglia è tra quelle regioni che non ha ancora chiuso il ciclo dei rifiuti e, quindi, le amministrazioni locali saranno tra quelle più penalizzate dall’aumento dell’Iva. Una crescita destinata a confermare il trend dell’anno in corso, quando – secondo il rapporto dell’Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva – una famiglia tipo pugliese paga 427 euro con un aumento della tassa del 4 per cento rispetto al 2023. Vero è che il dato è figlio di un peccato originale: molti comuni non sono allineati ai dati nazionali sulla raccolta differenziata, tanto che la Puglia con il 58,6% fa registrare un dato al di sotto della media nazionale, attestato al 65 per cento. E dove Trani, con il 74 per cento guida la classifica regionale, e Foggia a chiudere, con il 26 per cento.

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