Hamas si divide sulla proposta di accordo per il rilascio degli ostaggi trattenuti a Gaza: secondo il Wall Street Journal, il capo dell’organizzazione terroristica a Gaza, Yahya Sinwar, sosterrebbe una tregua temporanea mentre i suoi leader al di fuori della Striscia starebbero spingendo per ulteriori concessioni ed un cessate il fuoco permanente. Sinwar punterebbe ad una pausa di sei settimane per far riorganizzare i miliziani di Hamas e fare entrare più aiuti a Gaza, scrive il Wsj citando fonti a conoscenza dei contenuti dei negoziati. Il capo del Politburo Ismail Haniyeh, al contrario, starebbe spingendo per un cessate il fuoco permanente con garanzie internazionali e un piano per ricostruire l’enclave.
«È necessario un piano non solo per amministrare Gaza dopo la fine di Hamas ma anche per impedirne la ricostituzione, al fine di evitare il replicarsi di fenomeni come l’Isis che ha fatto risorgere il terrorismo dopo l’era Al Qaeda». A dichiararlo è il generale David H. Petraeus, veterano di guerra e già direttore della Cia, oggi presidente del Kkr Global Institute.
«C’è un allargamento progressivo della crisi – osserva Petraeus – ed esiste la possibilità che il conflitto si espanda in tutte le aree del Medio Oriente, dove sono attive le milizie sostenute dall’Iran, come Hezbollah nel Libano meridionale, sebbene la formazione sembri limitare le operazioni. Fermento particolare – avverte inoltre – si registra invece in Iraq, che l’Iran vuole “libanizzare. C’è poi la Siria di Bashar al Assad, un’estensione territoriale iraniana in termini di attività militari e di intelligence portate avanti dalla Repubblica islamica, e lo Yemen da dove gli Houthi hanno creato una semiparalisi della navigazione commerciale nel Mar Rosso. Penso che la coalizione guidata dagli Stati Uniti abbia piani chiari per rispondere alle crescenti minacce in questi focolai». Intanto, più di 800 funzionari in servizio negli Stati Uniti e in Europa hanno firmato una dichiarazione in cui si sostiene che Israele non abbia mostrato “alcun limite” nelle sue operazioni militari a Gaza, “che hanno provocato decine di migliaia di morti civili prevenibili”, denunciando anche “il blocco deliberato degli aiuti” nell’enclave palestinese che ha messo “migliaia di civili a rischio fame e morte lenta”.
Secondo i funzionari, le loro amministrazioni rischiano di essere complici di “una delle peggiori catastrofi umane di questo secolo”, sottolineando che i loro consigli di esperti sono stati messi da parte. Per l’emittente britannica si tratta dell’ultimo segnale di dissenso significativo all’interno dei governi di alcuni dei principali alleati occidentali di Israele.
Le identità di coloro che hanno firmato o approvato la dichiarazione non sono state rese pubbliche e la Bbc non ha visto un elenco di nomi, ma risulta che quasi la metà siano funzionari che hanno ciascuno almeno un decennio di esperienza nel governo.