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l Btp ora battono l’inflazione. La sfida per conservare il debito nelle tasche delle famiglie

La prospettiva di un rialzo dei tassi da parte delle banche centrali di tutto il mondo ha ridato appetibilità ai titoli di Stato, compresi quelli italiani. Una ulteriore conferma di questa nuova tendenza è stato il collocamento dei Btp Valore (Buoni del Tesoro Poliennali) dei primi giorni di marzo che ha riscosso un notevole successo,…

La prospettiva di un rialzo dei tassi da parte delle banche centrali di tutto il mondo ha ridato appetibilità ai titoli di Stato, compresi quelli italiani. Una ulteriore conferma di questa nuova tendenza è stato il collocamento dei Btp Valore (Buoni del Tesoro Poliennali) dei primi giorni di marzo che ha riscosso un notevole successo, segnalando un forte segnale di fiducia per l’Italia e il suo sistema finanziario. Il collocamento si è concluso con sottoscrizioni che superano gli 1,37 miliardi di euro per una raccolta totale di 18,32 miliardi. Il dato rappresenta un vero e proprio record e supera sia i 18,14 miliardi di giugno scorso sia i 17,2 miliardi di euro di ottobre 2023.

Ma perché gli investitori stanno tornando a credere nelle obbligazioni?
Il calo dei tassi di interesse e dunque del prezzo del denaro, rende le cedole sufficienti a garantire non solo una protezione contro l’inflazione ma anche un guadagno, soprattutto nel medio e lungo termine. È il risultato ovviamente anche del contenimento dei rincari ottenuto proprio con l’innalzamento dei tassi durante il 2023. Una “cura” che pare sia stata sufficiente a riportare nei ranghi l’exploit registrato dopo la pandemia. Una inflazione intorno al 2 per cento, dunque, renderà ancora più interessante un prodotto che garantisce una cedola intorno al 4. Nel caso della terza emissione del Btp Valore, quella appunto andata in collocamento i primi di marzo, è prevista una cedola fissa del 3,25 per i primi tre anni e del 4 per cento dal quarto al sesto, con un premio finale per chi non vende prima il titolo dello 0,5.

Accanto a queste valutazioni puramente numeriche, però, è innegabile che ci sia anche un clima di fiducia rispetto al sistema Italia e alla sua capacità di restituire il denaro preso prestito. Pur con un debito pubblico imponente, gli sforzi degli ultimi anni nel contenerlo sono apprezzati dagli investitori. Non è un caso che l’Italia abbia ottenuto miglioramenti nel rating del suo debito sovrano. Una condizione che dovrebbe migliorare ulteriormente nei prossimi mesi vista anche la previsione di ieri da parte dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana, in merito a un ulteriore taglio dei tassi. Nei primi tredici giorni di marzo, si legge nel report dell’Abi, il tasso sui Btp è stato in media del 3,68%, in diminuzione di 131 punti rispetto al massimo registrato a ottobre 2023. Il tasso Irs a 10 anni (molto usato nei mutui) è stato in media del 2,62%, in diminuzione di 90 punti rispetto al massimo registrato a ottobre 2023. Il tasso sui Bot a sei mesi è stato in media del 3,75%, in diminuzione di 30 punti rispetto al massimo registrato a ottobre 2023. Il tasso Euribor a 3 mesi è stato in media del 3,93%, in calo di 7 punti rispetto al massimo registrato a ottobre 2023.

Il debito degli italiani in mano agli italiani
Sono due i vantaggi che derivano da tutto questo per lo Stato: in un trend di tassi ribassisti anche le prossime emissioni avranno cedole sempre più basse e, dunque, potrà rifinanziarsi a un costo inferiore; mantenere una quota elevata di debito nelle mani dei cittadini italiani. Quest’ultimo aspetto, frutto proprio di un clima di fiducia consolidato, è particolarmente importante nell’ottica della stabilità. Nella memoria dei meno giovani è ancora fresco il ricordo del 1992, quando l’attacco alla Lira da parte di investitori stranieri obbligò il governo e la Banca d’Italia, allora guidati rispettivamente da Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi, a svalutare la moneta nazionale del 30 per cento. Una manovra che ha avuto grandi conseguenze sull’economia italiana. Inizialmente, la svalutazione ha contribuito a rendere i prodotti italiani più competitivi sui mercati internazionali, poiché i prezzi dei beni esportati sono diminuiti rispetto alle valute estere. Tuttavia, questa svalutazione ha anche comportato un aumento dei prezzi dei beni importati, causando un’accelerazione dell’inflazione. Le conseguenze a lungo termine includono un aumento del debito pubblico, una recessione economica e una perdita di fiducia nel sistema finanziario italiano. Questi effetti hanno richiesto anni di riforme e politiche economiche per ripristinare la stabilità del Paese.

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