Poche ore prima di essere fermato per l’omicidio di Silvia Nowak, la sua compagna, Kai Dausel aveva partecipato alla posa di una panchina rossa, simbolo della lotta alla violenza sulle donne.
Una presenza che non ha stupito, visto che il 63enne tedesco ha sempre partecipato alle iniziative organizzate dalla comunità di Castellabate (Salerno) per ricordare Silvia. E invece, nella mattina del 16 dicembre, i carabinieri della compagnia di Agropoli, insieme a quelli del reparto operativo di Salerno, hanno messo le manette all’uomo, accusato di omicidio aggravato e distruzione di cadavere.
Per la Procura di Vallo della Lucania è stato lui, il 18 ottobre scorso, a uccidere Silvia in un bosco confinante con la sua proprietà, “colpendola reiteratamente con un corpo contundente e tagliente e distruggendone parzialmente il cadavere con il fuoco“
Le indagini però non si fermano agli attimi del presunto femminicidio, ma si estendono al suo passato, pieno di ombre. L’uomo, prima di cambiare nome all’anagrafe tedesca (in precedenza si sarebbe chiamato Altmann), negli anni novanta sarebbe stato coinvolto in diverse vicende, tra cui anche una legata ad un omicidio.
Non mancano ipotesi di reato contro il patrimonio ed un caso di frode informatica. Vicende che gli investigatori italiani stanno provando ancora a decifrare, anche per inquadrare meglio il profilo del presunto assassino.
Il 12 novembre scorso, poco meno di un mese dopo il delitto, la procura di Vallo della Lucania lo aveva iscritto nel registro degli indagati, ma l’uomo si è sempre mostrato tranquillo, ostentando la sua innocenza.
Anche ieri mattina Dausel, accompagnato dal suo avvocato, aveva partecipato all’iniziativa contro la violenza sulle donne, con la comunità di Ogliastro Marina: aveva deposto alcune rose rosse sulla panchina, accomodandosi vicino alla scritta ‘Non lasciare la panchina vuota. Siediti e pensa‘.
E l’uomo non si era neppure sottratto alle interviste, ribadendo ai cronisti la sua “ferma volontà” di arrivare a scoprire la verità sull’omicidio della sua Silvia. Parlando in tedesco aveva pure espresso il desiderio di tornare quanto prima nell’abitazione che divideva con la compagna, ancora sotto sequestro.