L’inflazione reale rallenta, ma per gli italiani la vita resta cara, ancora più di quanto non lo sia realimente. Secondo un’indagine di Noto Sondaggi per “Il Sole 24 Ore del Lunedì“, l’inflazione percepita nel Paese è pari al 9,9%, quasi otto punti in più rispetto al tasso reale dell’Indice Nic calcolato da Istat, fermo al 2%. Un divario che influenza profondamente i comportamenti d’acquisto: un italiano su due ha ridotto i consumi negli ultimi sei mesi, sia nei beni essenziali sia in quelli “superficiali”.
Queste percezioni si traducono in scelte concrete: il 50% degli italiani ha ridotto gli acquisti nel carrello della spesa e il 46% ha tagliato spese non alimentari, in particolare ristorazione, tempo libero e abbigliamento. Anche sul cibo si fa economia: il 36% ha ridotto o rinunciato al consumo di pesce e frutti di mare, il 34% al vino, il 29% a marmellate e miele.
È la conferma che, anche in tempi di bassa inflazione ufficiale, la percezione pesa più dei numeri. La forbice tra tasso reale e percepito è oggi di 7,9 punti percentuali, in aumento rispetto ai quasi sei registrati nell’ottobre 2023, quando però l’inflazione era al 5,3%. A influenzare la percezione, secondo Maurizio Del Conte, docente alla Bocconi, sono l’incertezza diffusa e l’effetto cumulato dei rincari degli ultimi tre anni: l’inflazione rispetto al 2019 ha infatti toccato il +17%.
Le voci che pesano di più sulla sensazione di caro vita sono legate alla casa. Su acqua, elettricità e combustibili, gli italiani avvertono un’inflazione del 16,4% (contro un dato reale del 5%). L’energia, insieme ai carburanti e alla salute, è tra i capitoli più onerosi del bilancio familiare. Non a caso il decreto Bollette 19/2025 ha stanziato tre miliardi di euro, più della metà destinati a un bonus una tantum da 200 euro per le famiglie con Isee fino a 25mila euro.
Anche sul fronte alimentare il gap è netto: il rialzo reale è del 3,2%, ma quello percepito raggiunge il 13,1%. Per l’abbigliamento si passa da uno 0,8% reale a un 9,7% percepito. Stessa dinamica per i servizi ricettivi (3,8% contro 12,3%) e i beni per la persona (2,6% contro 10,4%).