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Il caffè? Non serve per svegliarsi al mattino ma per vivere la giornata

«Non si tratta solo di caffeina, ma di un'emozione che nasce dal sapore ricco e intenso, dalla qualità del chicco che ti dà quella spinta ‘buona’ che rende ogni sorso un'esperienza unica». Ne è convinto Furio Camillo, il responsabile scientifico di Sylla, l’Istituito di ricerca che ha realizzato per conto dell’Istituto Espresso Italiano, un sondaggio…

«Non si tratta solo di caffeina, ma di un’emozione che nasce dal sapore ricco e intenso, dalla qualità del chicco che ti dà quella spinta ‘buona’ che rende ogni sorso un’esperienza unica». Ne è convinto Furio Camillo, il responsabile scientifico di Sylla, l’Istituito di ricerca che ha realizzato per conto dell’Istituto Espresso Italiano, un sondaggio sui costumi legati al consumo di caffè nel paese, prendendo in considerazione tre gruppi: adulti, adolescenti, la cosiddetta GenZ, baristi.

Le categorie

Per tutti il caffè è importante ma per ragioni e in modo differenti. Ci sono gli “esteti solitari”, per loro conta soprattutto l’atmosfera, il luogo in cui lo prendono; quelli che lo bevono per routine, senza dargli troppa importanza; chi glorifica il rito del bar più che il caffè in sé, definiti “socializzatori pratici”, e poi i veri amanti del caffè, esploratori di gusto, alla ricerca di varietà sempre nuove che puntano alla qualità. Coloro per i quali il caffè è una questione di stile di vita e che non possono farne a meno, mai. Infine gli appassionati, che lo considerano parte integrante del loro stile di vita e della loro cultura.

Le tradizioni

Il pensiero va subito a Napoli, ma Trieste, dall’altro capo dell’Italia, non è da meno. Il loro rapporto è antico, anche perché, fin dal XVIII secolo, è stata il principale porto in Italia per l’importazione di caffè, che avrebbe dato poi vita agli storici locali triestini, diventati, attorno a quella bevanda, luoghi d’incontro fra letterati, gente comune e marinai. Perché il caffè unisce e non si nega nessuno. Napoli insegna, col suo caffè sospeso, perché se un caffè non si condivide, è meno buono. Ma la vera differenza, probabilmente, è quella fra i puristi dell’espresso e quelli della galassia di modi e tipologie di preparazione e “macchiature” e fra “quelli della Moca” e “quelli della macchinetta del bar”.

Il caffè in Puglia

L’espressino pugliese non ha eguali in nessun’altra parte d’Italia, almeno nel nome. È servito nella tazzina in vetro trasparente più larga in alto per accogliere una morbida schiuma di latte e cacao in superficie; quello al ghiaccio, da versare nel bicchiere con i cubetti; e quello leccese, col ghiaccio e il latte di mandorla. Non mancano vere e proprie ossessioni per le temperature: la tazzina incandescente; il caffè macchiato freddo, macchiato caldo. E infine il cappuccino italiano, che fa impazzire tutto il mondo e che gli stranieri sorseggiano con qualunque pasto e a qualunque ora.

I numeri

Tornando al sondaggio promosso dall’Iei e Sylla, «l’indagine conferma che qualità si traduce nel piacere sensoriale per il 73% degli intervistati», spiega Luigi Morello, presidente dell’Istituto. Il caffè al bar vale 8,6 voti su 10 e se è ben noto l’apprezzamento tra gli adulti (8,6%), non è da meno quello della GenZ, a caccia di locali confortevoli per relazionarsi, prodotti sostenibili e prezzi accessibili. Insomma quello che vogliono non è il caffè per svegliarsi la mattina e ingranare la giornata, ma un’occasione di socialità.

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