Mentre la minaccia nucleare americana è tornata prepotente sulla scena, a mo’ di spauracchio nei confronti del presidente russo, Vladimir Putin e le «scaramucce» tra Pakistan e India sono tornate a farsi sentire nei mesi scorsi, sono passati 80 anni dall’attacco atomico, prima su Hiroshima e, solo tre giorni dopo, su Nagasaki. Un colpo al cuore del Giappone che ha messo una pietra tombale alla seconda guerra mondiale, distruggendo in pochi secondi le due città e uccidendo migliaia di persone vicino all’ipocentro. Un numero vicino alle 140mila civili, e non solo, uccisi dalla deflagrazione della prima bomba atomica usata per fini bellici, sganciata dal bombardiere degli States, il «Boeing B-29», comunemente chiamato «Enola Gay». Un nome, riferito a quello della madre del pilota Paul Tibbets, che ha provocato a sua volta la morte di numerose madri.
L’arma distruttiva
L’arma atomica «piovuta dal cielo» sui 280/290mila abitanti di Hiroshima e 43mila soldati, la «Little Boy», era una bomba all’uranio di tipo gun che esplose con una potenza di circa 15 chilotoni. L’impatto fu così devastante che la popolazione continuò a morire, anche nei quattro mesi successivi e anche dopo cinque anni, a causa delle conseguenze dirette e, in questo caso, indirette dovute a ustioni, malattie da radiazioni e tumori di vario genere. L’operazione, nome in codice «Centerboard I» fu approvata da Curtis LeMay, essenzialmente due giorni prima dell’impatto, il 4 agosto del ‘45.
Scavare nella memoria
A 80 anni dal triste evento che ha scosso dal profondo le radici del Giappone, gli abitanti della zona colpita dalla deflagrazione sono ancora alla ricerca dei resti dei dispersi, con l’obiettivo di concederli l’onore che li spetta. Migliaia di morti e moribondi, infatti, al momento dell’impatto, furono trasportati sulla piccola isola rurale di Ninoshima, appena a sud della città epicentro, a bordo di imbarcazioni militari con equipaggi addestrati per missioni suicide. Le vittime avevano i vestiti bruciati e la pelle appesa al viso e agli arti. Poche centinaia di persone, secondo i documenti storici, erano ancora in vita, qualche settimana dopo, precisamente il 25 agosto quando l’ospedale da campo chiuse. Una sfida delicata per ricostruire una storia di sofferenza e porre veramente fine al secondo conflitto mondiale. Ne è convinto Rebun Kayo, ricercatore dell’Università di Hiroshima, alla ricerca costante di resti umani sull’isola. Finora Kayo ha trovato circa 100 frammenti ossei, tra cui pezzi di cranio e la mandibola di un neonato con alcuni dentini ancora attaccati.
La cerimonia commemorativa
La città, intanto, come ogni anno, si sta preparando per la consueta cerimonia commemorativa, che quest’anno assumerà un significato diverso, non solo per la cifra tonda. È tutto pronto al Parco del Memoriale della Pace, che accoglierà le numerose cariche istituzionali di 120 Paesi, tra cui quest’anno anche i rappresentanti di Palestina e Taiwan, entrambi formalmente non riconosciuti dal Giappone. Grande assente alla cerimonia ancora una volta la Russia di Putin, sarà presente invece la rappresentanza di Minsk. La città di Hiroshima, sui suoi canali, ha diffuso gli obiettivi alla base della celebrazione di quest’anno. «Le tensioni globali sono alle stelle: in tutto il mondo scoppiano nuovi conflitti, mentre quelli vecchi non finiscono mai», è l’incipit del comunicato, che ricorda il rischio ancora attuale delle armi nucleari in mano ad almeno 9 Stati, tra cui Russia, Cina, Stati Uniti e Israele. «È necessario creare un consenso nella società civile per il raggiungimento di un mondo libero dalle armi nucleari – è scritto ancora -nonché creare slancio per promuovere cambiamenti politici anziché affidarsi alla deterrenza nucleare su scala globale».