Il via libera appena concesso dal Consiglio Ue, Affari Interni, alla stretta sui rimpatri degli irregolari, che prevede la semplificazione e l’accelerazione delle procedure di rimpatri e consente ai Paesi membri di istituire hub negli Stati terzi, ha ridato fiato al Governo Meloni e alla sua linea politica in tema di gestione dei migranti.
In particolare il «modello Albania» con la realizzazione di centri off-shore era stato voluto per esternalizzare e rendere più veloce l’esame delle richieste di protezione internazionale e i rimpatri dei migranti raccolti in mare. Ma la Corte Europea di Giustizia dell’Unione europea ha di fatto bloccato le procedure perché ha stabilito che uno Stato membro non può considerare un Paese «sicuro» se non garantisce la sicurezza per tutte le persone, obbligando i giudici nazionali a verificare caso per caso le condizioni concrete, disapplicando le norme nazionali che violano il diritto europeo e assicurando che la Direttiva Procedure d’asilo sia rispettata anche nelle strutture esterne (vedi Centro di Gjader in Albania) vietando espulsioni immediate e garantendo i diritti fondamentali dei migranti.
I Paesi sicuri
Ora con la pubblicazione dei cosiddetti «Paesi sicuri» è probabile che le procedure si possano snellire. Il Consiglio ha definito l’elenco dei paesi dovrebbero essere designati come paesi di origine sicuri a livello dell’Ue: Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Kosovo, Marocco e Tunisia. Anche i paesi candidati all’adesione all’Ue sono designati come paesi di origine sicuri a livello dell’Unione, a meno che nel paese non vi sia una situazione di conflitto armato internazionale o interno.
I costi di Gjader
Ma se questo potrà sbloccare e giustificare l’esistenza di centri come quello albanese è ora tutto da verificare. Ma parliamo di dati e cifre. Intanto quello albanese è costato 1 miliardo in 5 anni. La realizzazione del Centro di Gjader in Albania (composto da: un Ctra, centro trattamento richiedenti asilo con 880 posti, un Cpr, centro di permanenza e rimpatrio con 144 posti e un penitenziario da 20 posti) è, dati alla mano, un esempio di sperpero di risorse pubbliche. Dal centro albanese sono pochissimi e quindi dall’11 aprile scorso il governo ha pensato di utilizzarlo come Cpr. In totale 111 le persone, dati aggiornati al 28 luglio 2025, che hanno fatto ingresso nei centri previsti dal protocollo siglato tra Roma e Tirana. Le prime a entrarvi, il 16 ottobre 2024, sono stati dieci cittadini bengalesi e sei egiziani arrivati al porto di Shëngjin sulla nave militare Libra, poi regalata dal Governo Meloni all’Albania. Il centro albanese è costato tanto e sta servendo a poco. Costato tanto per la sua realizzazione, per il mantenimento del personale e per la gestione.
Gli sprechi
Insomma i filoni di spreco sono almeno 3 ed è il rapporto di ActionAid con relativo esposto alla Corte dei Conti e le segnalazioni all’Anac, ad aver riportato in primo piano una delle pagine più opache del governo italiano nella sua politica di gestione dei migranti negli ultimi anni. Cominciamo proprio dall’ultimo capitolo: la gestione del centro di Gjader.
La gestione
Una premessa. In Italia a gestire gli undici Cpr sono enti no-profit e enti for-profit, 9 i primi, 2 i secondi. Per quanto riguarda il centro off-shore di Gjader, la gestione viene affidata al colosso dell’accoglienza da decenni sulla scena, ha le sembianze di una multinazionale anche se formalmente è una cooperativa sociale: la Medihospes. A maggio 2024 l’ente si aggiudica definitivamente l’appalto di gestione del centro albanese. Alla manifestazione di interesse cui partecipano 30 enti e Medihospes appare in una procedura negoziata senza bando tra le tre cooperative scelte dalla Prefettura romana per l’invio di un’offerta. Delle tre però l’unica a presentarla è Medihospes, che si aggiudica l’appalto da 133 milioni di euro. Ma a distanza di un anno e mezzo circa dall’accordo il contratto stipulato con la Prefettura di Roma non è stato siglato.
La cooperativa è nota per le decine di appalti che ha gestito e gestisce in tutta Italia ed è parte integrante, nel settore socio-assistenziale, del più noto Consorzio La Cascina, coinvolto in un primo tempo nell’inchiesta giudiziaria «Mafia capitale». L’unica documentazione che garantisce una qualche forma di accordo tra la Prefettura di Roma e Medihospes «è costituita da due verbali di esecuzione anticipata, volti a garantire l’avvio delle strutture in urgenza nell’attesa della stipula del contratto».
Dal primo gennaio al 18 giugno 2024, secondo l’Anac, ha già vinto 61 appalti: solo uno attraverso gara aperta e ben l’82% del totale (non solo quelle relative ai migranti) tramite un affidamento diretto. L’importo riconosciuto dalle prefetture alla cooperativa romana per la gestione dei centri, escludendo quello per l’Albania, è cresciuto del 93% tra il 2021 e il 2023 (da 23,7 milioni a 45,9).
Medihospes
Medihospes nasce nel 2017 sulle ceneri di Senis Hospice e Mediterranea, in pratica, come si legge nel rapporto di ActionAid «la trasformazione da Senis Hospes a Medihospes non ha segnato una discontinuità, ma piuttosto una continuità operativa e relazionale con il sistema precedente, visto che la nuova cooperativa ha mantenuto sedi, personale e relazioni istituzionali con le Prefetture, in particolare con quella di Roma, dove ha consolidato una posizione dominante sul mercato dell’accoglienza». Il Centro di Gjadër nel 2024 risulta avere un costo in termini di pro-capite pro-die pari ad € 76,57, più del doppio dei Ctra siciliani.
La sola struttura adibita a Cpr registra invece un pro-capite pro-die pari ad € 108,04, quasi tre volte il valore medio nazionale dei costi di gestione dei Cpr presenti sul territorio italiano. Infine nel rapporto «Trattenuti» dedicato ai centri in Albania si legge: «Nel bilancio 2024 Medihospes sottolinea che l’appalto ha comportato al momento “un grande sforzo organizzativo e una sfida professionale elevata”, auspicando “l’avvio a regime della gestione dei centri di accoglienza e di trattenimento di cui al protocollo Italia-Albania”.
Un avvio che per ora non si è ancora concretizzato, comportando, dalle carte a oggi a disposizione, in larga parte costi e non ricavi. Medihospes ha infatti imputato nel proprio bilancio 2024 circa 1,2 milioni di euro di costi alla “succursale” albanese (“Medihospes Albania Srl”), ricavi zero, a fronte di debiti maturati in totale nei confronti dello stesso veicolo societario domiciliato a Tirana per 563mila, crediti zero. Un importo, quello dei debiti, sovrapponibile a quanto già ricevuto dalla cooperativa sociale da parte della prefettura di Roma a titolo di saldo delle fatture presentate al 31 dicembre dello scorso anno (2023). Mentre l’ente gestore freme, il 7 ottobre di quest’anno trattenute a Gjadër c’erano 17 persone».