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Giornata mondiale del tumore alla prostata, Cormio: «Fondamentale prevenire» – L’INTERVISTA

In occasione della Giornata Mondiale del Tumore alla Prostata, l’Italia rinnova l’attenzione su una sfida che sta mutando volto grazie all’evoluzione degli strumenti diagnostici. Ne abbiamo parlato con il professor Luigi Cormio, docente di Urologia all’Università di Foggia e direttore della Clinica urologica presso l’ospedale Bonomo di Andria, che ci ha ricordato l’importanza di un…
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In occasione della Giornata Mondiale del Tumore alla Prostata, l’Italia rinnova l’attenzione su una sfida che sta mutando volto grazie all’evoluzione degli strumenti diagnostici. Ne abbiamo parlato con il professor Luigi Cormio, docente di Urologia all’Università di Foggia e direttore della Clinica urologica presso l’ospedale Bonomo di Andria, che ci ha ricordato l’importanza di un approccio clinico tempestivo e mirato, nell’ottica di ridurre il rischio complessivo e offrire una luce di possibilità anche nelle situazioni più complesse.

Professor Cormio, qual è oggi l’incidenza del cancro alla prostata in Italia e come sta cambiando?

«Registriamo oltre 40mila nuovi casi ogni anno, e il dato è in continua crescita: a spingere questi numeri contribuiscono sia l’invecchiamento della popolazione sia il miglioramento degli strumenti di screening e delle tecniche diagnostiche».

Ci sono fattori di rischio su cui possiamo intervenire concretamente?

«Il fattore più consolidato è la familiarità: avere un parente di primo grado colpito da questo tumore raddoppia il rischio. L’obesità è un’altra condizione associata, seppure in misura più contenuta».

A che età e con quale cadenza è opportuno sottoporsi a screening?

«In assenza di precedenti familiari, si consiglia di iniziare i controlli a 50 anni; se in famiglia sono presenti casi di tumore o mutazioni BRCA1/2, l’età scende a 45-40».

Parliamo di PSA: è ancora uno strumento valido, o come sostengono alcuni è un esame superato?

«Il PSA rimane il “principe” degli esami a nostra disposizione. A dimostrarlo c’è l’esempio degli USA: la tendeza del Paese a non utilizzare il PSA per lo screening ha portato l’ex presidente Biden – che dovrebbe essere tra gli uomini più controllati al mondo – ad avere un tumore alla prostata metastatico. Va comunque specificato che il PSA va inserito in un percorso clinico che comprenda la visita urologica, l’esame obiettivo e, se necessario, flussometria o risonanza magnetica».

Quali sono i segnali d’allarme da non trascurare?

«Nella fase iniziale il tumore è spesso asintomatico perché si sviluppa nelle zone periferiche della ghiandola. Spesso la scoperta avviene durante accertamenti per ipertrofia prostatica -che si manifesta con flusso urinario debole e bisogno di urinare più frequentemente – o per prostatite, caratterizzata da stimolo impellente e senso di bruciore».

La visita urologica è ancora oggi un tabù per l’uomo?

«Negli ultimi anni il tabù si sta attenuando: sempre più spesso infatti gli uomini arrivano a una diagnosi in fase precoce».

“Sorveglianza attiva”, “chirurgia robotica” e “radioterapia mirata”: ci spiega in termini semplici cosa significa tutto questo per un paziente?

«La sorveglianza attiva è un protocollo riservato ai tumori a basso rischio (grado Gleason 6, PSA inferiore a 10 e risonanza negativa), che prevede controlli periodici con PSA, risonanza e biopsie mirate per verificare l’eventuale progressione. La chirurgia robotica, o prostatectomia radicale, consiste nella rimozione completa di prostata e vescicole seminali ed è indicata per tumori di rischio intermedio/alto: al termine dell’intervento, l’analisi dei margini chirurgici orienta sull’eventuale necessità di terapie complementari. La radioterapia e la crioterapia impiegano rispettivamente radiazioni o basse temperature per distruggere selettivamente le cellule tumorali senza asportare l’organo: sono tecniche meno invasive, adatte soprattutto a pazienti anziani o con tumori di medio rischio, ma forniscono un quadro istologico meno esaustivo e hanno risultati a lungo termine leggermente inferiori rispetto alla chirurgia».

Qual è l’impatto dei trattamenti sulla funzione sessuale?

«Dopo prostatectomia radicale i pazienti sperimentano subito difficoltà erettili, che possono però migliorare nel tempo grazie a programmi di riabilitazione andrologica (farmaci orali, iniezioni intracavernose e dispositivi di supporto). Con radioterapia o crioterapia la funzione sessuale è spesso preservata nell’immediato, ma i nervi possono danneggiarsi a distanza di mesi o anni. Anche la scelta della sorveglianza attiva, pur non provocando danni organici, può generare ansia e influire negativamente sulla sfera sessuale. Bisogna però dire che ci sono casi in cui il paziente perde interesse nell’attività sessuale, concentrandosi invece sull’aspetto continenza delle urine che impatta molto sulla qualità della vita».

Esistono accorgimenti utili a mantenere la prostata in buona salute?

«Oltre a mantenere il peso sotto controllo, è consigliabile ridurre il consumo di alcolici, bevande gassate, cibi piccanti o troppo speziati, che possono irritare la ghiandola prostatica. Non sappiamo però con precisione quale sia la correlazione tra infiammazione e rischio tumorale».

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