I piani – presumibilmente riservatissimi – per i bombardamenti statunitensi sullo Yemen del 15 marzo scorso sono finiti su una chat alla quale era stato aggiunto per errore il giornalista dell’Atlantic Jeffrey Goldberg.
A raccontarlo è lo stesso Goldberg in un lungo articolo nel quale ricorda le iniziali perplessità sull’autenticità dei vari messaggi che si sono susseguiti per diverso giorni prima dell’attacco, in una chat che comprendeva fra gli altri il vicepresidente JD Vance, il consigliere per la Sicurezza nazionale Mike Waltz e il Segretario di Stato Pete Hegseth.
Visto però l’effettivo svolgimento dell’operazione nelle ore previste Goldberg ritiene che la chat sia effettivamente autentica – e costituisca una grave violazione dei protocolli della sicurezza nazionale. A giustificazione dell’operazione viene fornita la necessità di garantire la sicurezza della navigazione nel Canale di Suez: l’aspetto interessante tuttavia è che viene sottolineato come questa sia essenzialmente un problema europeo (il traffico statunitense ammonta al 3% del totale contro il 40% dell’Europa).
A insistere su questo punto è proprio il vicepresidente Vance, che in pubblico non si è mai discostato dalle politiche di Trump ma che esprime delle perplessità in merito all’opportunità di “venire in soccorso dell’Europa“: “Odio doverlo fare“, scrive; “sono patetici, ma va fatto“, risponde Hegseth.
Anzi, se gli Stati Uniti riuscissero nel loro obbiettivo sia l’Europa che l’Egitto dovrebbero in qualche modo offrire una compensazione economica, insiste il vicecapo di gabinetto della Casa Bianca, Stephen Miller, che aggiunge: «Dovremmo avere degli strumenti per far rispettare queste richieste: se l’Europa non ci remunera, allora che succede? Dev’esserci qualche ulteriore vantaggio economico in cambio» dell’intervento statunitense.