Dopo due anni di guerra, ieri a Sharm el-Sheikh è stato firmato lo storico accordo di pace per Gaza, sotto la mediazione di Stati Uniti, Egitto, Turchia e Qatar. Un’intesa salutata come «l’inizio di una nuova era» da Donald Trump, che ha partecipato alla cerimonia insieme a Erdogan, al-Sisi e all’emiro del Qatar. Assenti Hamas e Israele, ma la tregua – per ora – tiene, favorendo il rilascio di venti ostaggi israeliani e di circa duemila detenuti palestinesi.
Il presidente turco Erdogan ha annunciato l’invio di seicento camion di aiuti umanitari al giorno, mentre l’Onu stima in oltre 70 miliardi di dollari il costo per la ricostruzione di una Striscia devastata per l’84%. L’Egitto ha selezionato quindici tecnocrati palestinesi per amministrare Gaza nella fase di transizione, sotto la supervisione di un nuovo Consiglio per la Pace. L’Unione Europea riattiverà la missione civile al valico di Rafah e ha stanziato 1,6 miliardi di euro per sostenere la sicurezza e i servizi essenziali fino al 2027.
Nonostante l’ottimismo internazionale, la tregua resta fragile. Nelle ultime 24 ore, Al Jazeera ha riportato la morte di 44 palestinesi a Gaza, mentre Israele accusa Hamas di provocazioni armate vicino la “linea gialla” a Shejaiya. Intanto sono stati restituiti i corpi di diversi ostaggi israeliani, promettendo nuove consegne nelle prossime ore: alti funzionari israeliani hanno confermato che «stasera è prevista un’altra ondata di ritorno dei martiri».
Israele: «Hamas ha violato l’accordo sui corpi degli ostaggi, dimezzati gli aiuti a Gaza»
Israele accusa Hamas di aver violato l’accordo sulla restituzione dei corpi degli ostaggi e annuncia nuove restrizioni umanitarie. Il Cogat ha comunicato che da domani entreranno a Gaza solo 150 camion di aiuti, la metà dei 300 previsti, e solo quelli gestiti da Onu o Ong, escludendo il settore privato. Bloccato anche l’ingresso di carburante e gas, tranne per usi umanitari essenziali. Israele ha inoltre deciso di non riaprire il valico di Rafah, accusando Hamas di non aver consegnato i resti di tutti gli ostaggi morti, come stabilito dall’accordo sul cessate il fuoco.
«La parola ‘pace’ è ancora fragile», ha avvertito Francesca Albanese, relatrice Onu per i Territori palestinesi. Ma tra macerie e diffidenza, le diplomazie mondiali vedono in questa tregua la prima, incerta scintilla di speranza per una nuova convivenza.