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Dichiarazioni contro il Sud? Senaldi: «Basta bugie, non ho mai detto quelle frasi» – L’INTERVISTA

Circolano sui social, da tempo, alcune dichiarazioni violentemente antimeridionalistiche attribuite al condirettore di Libero, Pietro Senaldi, che scatenano l’indignazione di lettori e commentatori del Sud. L’occasione della pubblicazione in questi giorni del suo libro Sveglia! Le bugie che ci impoveriscono. Le verità che ci arricchiranno (Marsilio), scritto con Giorgio Merli, è l’occasione per una conversazione chiarificatrice con il giornalista milanese.

A leggere alcuni post sul web, sembra che lei avrebbe affermato che «il Mezzogiorno è più vicino all’Africa che a Milano» e altre frasi denigratorie del genere. Possibile?

«Non ho mai dichiarato frasi come queste e sono anni che non rilascio dichiarazioni sul Sud, tantomeno denigratorie. Io ho un nonno meridionale, lucano, il padre di mia madre, che venne a Milano, ebbe tre figli e riuscì a laurearli tutti e tre. Questa è l’unica cosa che dissi alcuni anni fa durante un dibattito sul reddito di cittadinanza, per il quale ero contrario, ad un interlocutore di Palermo o di Napoli, non ricordo, che era con me in uno studio televisivo. Gli dissi, “fai come mio nonno, vieni su a Milano”».

Che idea ha oggi del Mezzogiorno? Come ne parlate nel vostro libro?

«Noi trattiamo tutta l’Italia in modo uguale. Il Sud sta avendo, non tutto, dei buoni distretti di sviluppo. Il Sud è cambiato. Come ha detto anche Roberto Occhiuto quando ha vinto in Calabria, il Sud non vuole solo forestali e reddito di cittadinanza, c’è un Sud imprenditoriale in Campania, in Puglia, e non solo. Il Mezzogiorno non è diventato la Baviera, ma è certamente una realtà diversa da quella di trent’anni fa quando chiedevano solo forestali. Non è più così».

Quali sono le vostre proposte?

«Nel libro non parliamo da politici. Quello che sosteniamo è: bisogna investire dove serve e dove crea lo sviluppo. Se conviene investire più in Veneto, investi in Veneto e poi penserai al sud. Non devi, diciamo così, fertilizzare il deserto. Siccome siamo in emergenza, cominciamo ad attaccarci a quel che abbiamo, che sia al nord come al sud. Quando fortifichi ciò che hai, insedierai altrove. Non devi fare come Stalin, che decideva di industrializzare a priori uno stato e portava lì persone, industrie. Facciamo invece respirare i territori, puntiamo sui loro punti di forza, come fanno le squadre di calcio che investono sulle loro punte avanzate e poi affiancano i comprimari. In economia è così. Poi se tu hai un’ossatura forte il comprimario può diventare anche titolare nel tempo».

Le verità e le bugie di cui parlate nel libro riguardano soprattutto temi economici?

«È la ragione di questo libro e della sua pubblicazione ora. Andremo avanti per un anno e mezzo di campagna elettorale dove il tema sarà l’economia, perché è da sempre il tallone d’Achille dell’Italia, chiunque governi. Abbiamo un debito pubblico molto alto, un welfare pesantissimo e abbiamo una produttività che è ferma dal 1970, da 55 anni. Praticamente, cresciamo solo a debito dal 1980. Questo libro vuole essere una guida per orientarsi, spero, in quelle che saranno le parole chiave della campagna elettorale: stipendi bassi, sanità, Europa, immigrazione. Per capire se chi andrà in TV a parlarne sa quello di cui sta parlando, innanzitutto, e se ha una soluzione realistica ai problemi. Perché non puoi andare lì a dire che bisogna ridurre le liste d’attesa senza spiegare come».

Avete individuato un modo possibile?

«L’unico modo per ridurre le liste d’attesa, e in generale per risolvere i problemi in Italia, è aumentare il Pil, ma non aumentandolo a debito, come ha fatto Draghi col Pnrr e come abbiamo fatto sempre, ma aumentando il valore di quello che produciamo. Siamo in crisi perché abbiamo un’economia troppo esposta sulla manifattura, siamo troppo piccoli e abbiamo perso le nostre aziende. In un’era tecnologica diventa difficile, con queste premesse, fare innovazione e competere davvero».

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