Una sola busta, un solo nome: Rai. Nessuna sorpresa, ma nemmeno un entusiasmo travolgente. La tv di Stato resta l’unica candidata per l’organizzazione e trasmissione del Festival di Sanremo nel triennio 2026-2028, con opzione di proroga per altri due anni. E se da un lato il sindaco della città dei fiori, Alessandro Mager, parla di «soddisfazione», dall’altro il fatto che nessun altro soggetto si sia fatto avanti pone interrogativi su quanto sia davvero “aperta” questa gara.
La procedura nasce da una sentenza del Tar Liguria, che lo scorso dicembre ha imposto al Comune di Sanremo maggiore trasparenza e uno stop al “monopolio”. Il nuovo avviso pubblico, firmato da Mager e costruito con l’assessore al Turismo Sindoni e altri dirigenti comunali, ha introdotto paletti rigidi:
6,5 milioni di euro da versare, più una quota su pubblicità e sfruttamento del marchio, e obblighi editoriali stringenti, tra cui la messa in onda di eventi collaterali come «Sanremoinfiore» e almeno due manifestazioni scelte dal Comune, di cui una estiva.
Il bando contiene anche una clausola anti-flop: se lo share dovesse calare oltre il 15% rispetto alla media delle ultime cinque edizioni, il Comune potrebbe revocare l’accordo. Considerando che negli ultimi anni gli ascolti hanno superato regolarmente il 60%, il margine è stretto.
A fronte di queste condizioni, nessuna multinazionale o piattaforma ha presentato offerte. Warner Bros. Discovery si è sfilata, Mediaset è rimasta in silenzio. Nessuna alternativa alla Rai, dunque, che ora attende la verifica di congruità della proposta. Ma tutto potrebbe cambiare il 22 maggio, quando il Consiglio di Stato esaminerà i ricorsi contro la sentenza del Tar. Se venissero accolti, si tornerebbe al punto di partenza.
Intanto, dal fronte discografico arrivano segnali chiari. Enzo Mazza, ceo di FIMI, avverte: «I costi sostenuti dalle case discografiche sono insostenibili. L’impianto del Festival va ripensato». Sanremo, dunque, resta a Viale Mazzini.