Filippo Turetta condannato all’ergastolo per il femminicidio di Giulia Cecchettin, la sua ex fidanzata, uccisa con 75 coltellate l’11 novembre del 2023, a Fossò, in provincia di Venezia. Ma cadono le aggravanti di crudeltà e stalking. La Corte d’Assise di Venezia, presieduta da Stefano Manduzio, ha dichiarato l’imputato colpevole di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, sequestro di persona e occultamento di cadavere. «Abbiamo perso tutti, come società», le parole di Gino Cecchettin, padre della vittima, dopo il verdetto pronunciato dalla Corte d’Assise al termine di sei ore di camera di consiglio.
«Non sono né più sollevato né più triste rispetto a ieri o domani – ha affermato – È una sensazione strana. È stata fatta giustizia, la rispetto, ma dovremmo fare di più come esseri umani – ha sottolineato – La violenza di genere va combattuta con la prevenzione, concetti forse un po’ troppo lontani, non con le pene. Come essere umano mi sento sconfitto».
La forza di Gino
Il padre di Giulia Cecchettin ha mantenuto il volto di una sfinge dopo la lettura della sentenza, le cui motivazioni saranno depositate entro 90 giorni. «Avrei accettato qualsiasi verdetto, ma nel momento in cui è arrivato, l’essere qui tutti, significa aver perso una battaglia, come famiglia non avremmo dovuto essere qui perché significa aver perso Giulia».
Rimane impassibile con lo sguardo rivolto verso il basso durante il verdetto anche l’imputato, condannato, inoltre, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e all’interdizione legale e al pagamento del risarcimento nei confronti delle parti civili: 500 mila euro al padre della vittima, 100 mila euro a testa per Elena e Davide Cecchettin, sorella e fratello della 22enne, 30 mila euro a testa a Carla Catto e Alessio Cecchettin, nonna e zio della giovane. La difesa di Turetta, ieri, si è riservata la possibilità di fare appello. Per la difesa non vi era stata nemmeno premeditazione, unica aggravante che resta e che incide sulla pena inflitta.
La stretta di mano
In aula, prima dell’inizio dell’udienza, l’avvocato Caruso ha stretto la mano al padre della vittima e alla nonna Carla Gatto dopo le polemiche che si erano scatenate nei giorni scorsi per via delle sue parole. «La capisco umanamente, ma il mio lavoro non è facile», ha detto Caruso alla donna.