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Ex Ilva: Mittal, prima il no e poi la “pezza”

Il braccio di ferro tra ArcelorMittal e il Governo italiano riguardo al futuro dell'ex Ilva ha portato alla luce una complessa situazione sulla governance. Fonti vicine ad ArcelorMittal hanno infatti rivelato che la multinazionale franco-indiana è disposta a scendere in minoranza, ma insiste sul mantenimento del controllo condiviso al 50%. Quasi a sorpresa, dopo l’iniziale…

Il braccio di ferro tra ArcelorMittal e il Governo italiano riguardo al futuro dell’ex Ilva ha portato alla luce una complessa situazione sulla governance. Fonti vicine ad ArcelorMittal hanno infatti rivelato che la multinazionale franco-indiana è disposta a scendere in minoranza, ma insiste sul mantenimento del controllo condiviso al 50%.

Quasi a sorpresa, dopo l’iniziale irrigidimento d’inizio settimana, ArcelorMittal si è dichiarata favorevole a un versamento di ulteriori 320 milioni di euro da parte di Invitalia per sostenere le operazioni di Adi, ma con la condizione di una diluizione proporzionata al 34%.

Tuttavia, la proposta di Invitalia prevede anche la cessazione del controllo condiviso al 50%, una mossa che va in contrasto con le interlocuzioni precedenti. Attualmente, Invitalia detiene il 38% del controllo condiviso, mentre la proposta di cessazione da parte di ArcelorMittal rappresenta una deviazione significativa da quanto concordato inizialmente. La multinazionale avrebbe preferito mantenere un controllo paritario, anche in caso di inversione dei pesi azionari.

Mittal ha investito in AdI con un capitale di 1.870 milioni di euro in equity, oltre a oltre 200 milioni di euro per l’acquisto di materie prime e altre garanzie commerciali. Mentre lo Stato italiano ha investito fino a questo momento 1.080 milioni di euro. Nonostante gli investimenti significativi, solo 350 milioni di misure pubbliche sono stati erogati da Invitalia e dal Governo italiano, e questo fa emergere una discrepanza enorme rispetto agli impegni iniziali.

A conti fatti, durante l’investimento di 400 milioni di euro da parte di Invitalia, ArcelorMittal aveva accettato di condividere il controllo e la governance al 50%, impegnandosi a erogare misure di supporto pubblico fino a 2 miliardi di euro. Tuttavia, il percorso effettivo che ha portato all’attuale situazione, ha finora deluso le aspettative mettendo seriamente in crisi le relazioni tra ArcelorMittal e il Governo italiano.

Il segretario della Cisl, Luigi Sbarra, immediatamente dopo l’incontro tra le parti, ha dichiarato che «l’atteggiamento della società indiana Mittal nei confronti della ex Ilva è inaccettabile». Sbarra ha sottolineato «il rischio di imporre costi sociali significativi a migliaia di lavoratori e ai territori coinvolti». Sbarra ha enfatizzato «l’importanza strategica dell’industria siderurgica per l’Italia, sottolineando che il governo deve impegnarsi a garantire un futuro stabile per gli impianti siderurgici nel paese. E’ importante che il Governo lavori su misure decisive per garantire la continuità aziendale, incoraggiare gli investimenti ambientali, incrementare la produzione e salvaguardare tutti i posti di lavoro nell’industria siderurgica italiana. Inoltre, Sbarra ha esortato il governo a considerare l’industria siderurgica come un asset strategico, richiedendo azioni tempestive per assicurare un futuro sostenibile per gli stabilimenti siderurgici nel paese.

«Questi giorni serviranno di trovare le condizioni di quello che è stato chiamato un ‘ divorzio consensuale’ per far sì che non si deve affidare tutto ai tempi degli avvocati che sono più lunghi di quelli sociali e industriali. Se questo non dovesse essere, all’incontro di giovedì comunque il Governo arriverà con una presa di posizione netta su come proseguire». Così il segretario nazionale Fim, Valerio D’Alò, riferendosi al confronto dell’altro ieri tra i sindacati e il Governo, per parlare del futuro dell’ex gruppo Ilva. All’incontro «era presente anche una delegazione delle aziende d’appalto che più di tutte sostengono la preoccupazione di quello che può succedere», ha aggiunto D’Alò, ricordando che gli istituti di credito hanno revocato la propria «disponibilità ad aiutare le imprese».

Avanzano così «120 milioni di euro a cui bisogna dare comunque una tutela: ogni tragedia che cade sull’indotto viene poi pagata dai lavoratori», ha ammonito il segretario, sottolineando che quindi «bisognerà studiare ammortizzatori ad hoc per quelle piccole aziende che hanno finito i contatori oppure non hanno accesso agli ammortizzatori». In ogni caso, ha concluso D’Alò, «qualsiasi sia la scelta il Governo dovrà comunque tener conto della continuità industriale quindi non solo mettere soldi ma anche rilanciare impianti che necessitano di una grande manutenzione. Soprattutto dovrà garantire un percorso che non penalizzi nè le imprese di appalto ei loro crediti, e neppure i lavoratori. Per cui la scelta che dovrà essere fatta dovrà guardare nel tempo ma in una prospettiva di rilancio e non solo di salvataggio».

La situazione rimane tesa, con le parti interessate che continuano a cercare una soluzione che soddisfi le esigenze di tutti gli attori coinvolti, compresi i lavoratori, le autorità locali e la proprietà indiana. La questione della governance e degli investimenti ambientali è al centro del dibattito in corso, con il Governo chiamato a svolgere un ruolo chiave nel facilitare una soluzione equa e sostenibile per tutte le parti interessate.

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