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Dazi, all’orizzonte c’è il caro-prezzi: per l’Italia un danno che potrebbe raggiungere i 15 miliardi

Con i dazi introdotti da aprile, prima ancora che entrino in vigore dal 7 agosto quelli nuovi, Donald Trump ha incassato finora 152 miliardi di dollari, circa il doppio dei 78 miliardi di dollari entrati nelle casse federali nello stesso periodo dell’anno fiscale precedente. Solo a luglio le tariffe hanno fruttato quasi 30 miliardi di…
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Con i dazi introdotti da aprile, prima ancora che entrino in vigore dal 7 agosto quelli nuovi, Donald Trump ha incassato finora 152 miliardi di dollari, circa il doppio dei 78 miliardi di dollari entrati nelle casse federali nello stesso periodo dell’anno fiscale precedente. Solo a luglio le tariffe hanno fruttato quasi 30 miliardi di dollari. Lo scrive il New York Times, citando i dati del Tesoro.

Lo scenario

Gli analisti prevedono che nel tempo i nuovi dazi Usa di agosto, con livelli mai visti da quasi 100 anni, potrebbero generare entrate aggiuntive per oltre 2mila miliardi di dollari nel prossimo decennio. Ma, secondo vari media americani, c’è il rischio del caro prezzi e che a pagare almeno in parte siano i contribuenti americani. Stando al Budget Lab di Yale, un centro di ricerca politica indipendente. Gli americani vedranno un’imposta media del 18,3% sui prodotti importati, l’aliquota più alta dal 1934. Il Budget Lab ha stimato che i prezzi aumenteranno dell’1,8% nel breve termine a causa della guerra commerciale di Trump: ciò equivale a una perdita di reddito di 2.400 dollari per famiglia.

La situazione italiana

Con l’avvicinarsi del 7 agosto, data in cui entreranno in vigore i nuovi dazi statunitensi al 15%, l’Ufficio studi della Cgia lancia l’allarme: per l’Italia il danno stimato potrebbe oscillare tra i 14 e i 15 miliardi di euro all’anno. Una cifra enorme, paragonabile al costo complessivo del progetto per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, la più grande opera pubblica mai pianificata dal nostro Paese.

La stima elaborata dalla Cgia prende in considerazione sia gli effetti diretti, come la riduzione delle esportazioni verso gli Stati Uniti, sia quelli indiretti, tra cui il calo dei margini di profitto per le imprese che continueranno a vendere oltreoceano, costi delle misure di sostegno al reddito per i lavoratori italiani che potrebbero perdere l’occupazione, possibili trasferimenti di produzioni verso gli Usa per aggirare i Dazi, effetti legati al fenomeno del trade diversion, ossia la deviazione dei flussi commerciali verso mercati alternativi.

Alla componente strutturale si aggiunge anche un fattore congiunturale: la svalutazione del dollaro sull’euro, che nei primi sette mesi del 2025 ha toccato un -10,5%, rischia di amplificare ulteriormente l’impatto sulle esportazioni italiane. Con il conto alla rovescia ormai iniziato, resta da capire quali prodotti saranno effettivamente esentati dalla misura. Ma una cosa è certa: i Dazi Usa rischiano di mettere a dura prova il Made in Italy.

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