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Cucinare è un atto d’amore, parola di Vip: «Un modo per trasmettere il nostro affetto»

«Cucinare è un atto d’amore», lo dice Antonella Clerici e sotto Natale questa sua frase ha una rilevanza ancora più forte, perché è intorno alla tavola di Natale che cerchiamo di portare tutto l’amore possibile a chi vogliamo bene.

Antonella, molto innamorata del suo compagno Vittorio Garrone, per il quale ha abbandonato Roma con la figlia Maelle per andare a vivere in una casa nel bosco in Piemonte, non ha dubbi.

E se lo dice lei, che conduce trasmissioni di cucina di grandissimo successo dal 2000 (l’ultima, «È sempre mezzogiorno», seguita da un milione e mezzo di telespettatori), c’è da crederle.

Sul suo binario culinario si sono inseriti in molti, nella speranza di rubarle un po’ di successo: cuochi (come Alessandro Borghese, figlio di Barbara Bouchet), attori (come Maria Grazia Cucinotta), giornalisti (Benedetta Parodi), tanto che su Wikipedia si legge che alle trasmissioni di cucina in Italia sono dedicate 144 pagine su un totale di 144 trasmissioni.

Tre parole chiave

Mangiare, dormire, fare l’amore: per la maggior parte delle persone i piaceri della vita si riassumono in questi tre termini.

Recenti studi sostengono che le persone che sanno cucinare sono anche quelle più brave in amore: vero? falso? Non importa, ma per qualcuno esistono diversi spunti a sostegno di questa ipotesi.

Mi riesce forse difficile crederlo pensando a mia nonna Palmira, grande cuoca, che però, ricordo, ha messo al mondo otto figli con mio nonno Luigi, il che ora mi fa pensare.

Non a caso un grande successo è stato «Mangia, prega, ama», prima libro autobiografico di Elizabeth Gilbert e poi film omonimo con protagonista Julia Roberts.

La protagonista per «mangiare» viaggia in Italia accompagnata da Luca Argentero, un attore che nella vita privata si definisce «cuoco provetto», in grado di preparare dall’antipasto al dolce, con una predilezione per la pasta con il pesce.

Il profumo più buono del mondo

«Sì, cucinare è un atto d’amore, non necessariamente sessuale, anche se la cosa devo dire che corrispondeva con il mio Fausto, cuoco fantastico, mio marito, che purtroppo ora non c’è più. Ma è un atto d’amore comunque: mi ricordo mia mamma Elsa quando mi preparava il brodo con i cappelletti», mi dice Iva Zanicchi, che ha pubblicato recentemente un bel libro sull’argomento dal titolo «Quel profumo di brodo caldo», edito da Mondadori, con le ricette della sua famiglia.

«Intorno alla tavola ci trovavamo tutti e quel profumo di brodo univa tutta la famiglia accantonando problemi, povertà, incomprensioni».

Su Instagram una signora scrive: «Cucinare è un atto d’amore perché lo fai per gli altri. “Hai mangiato?” è la più autentica espressione d’amore. Non c’è spettacolo sulla terra più attraente di quello di una bella donna in atto di cucinare la cena per una persona che ama».

Mi permetto di correggere la signora: la donna può anche non essere attraente e può anche essere un uomo, e non sto parlando dei grandi chef, categoria a parte che vede ormai anche grandissime chef donna, ma di padri, mariti e compagni che volentieri cucinano per le (o i) partner.

Già, perché cucinare è come fare all’amore, ma soprattutto dare amore, che è alla base della cucina non intesa come mero nutrimento, ma come un momento di cura, di dedizione, di empatia, che coinvolge tutti i sensi. Cucinare, forse soprattutto a Natale, è un gesto che nutre sia il corpo sia lo spirito.

«Cucinare mi fa stare bene», mi dice l’attore Sebastiano Somma, a teatro nei panni di una donna, la temibile preside Trinciabue, nel musical per famiglie «Matilda».

«Come l’amore, cucinare richiede abbandono, passione, desiderio e concentrazione. Cucinare per le mie due donne, mia moglie Morgana Forcella e nostra figlia Cartisia, allontana lo stress e i pensieri negativi».

I sentimenti in un piatto

«Cucinare ci ha fatto, se non superare, alleviare momenti molto difficili», mi dice Lino Banfi, che a Roma, con la figlia e il genero, ha aperto anche un ristorante, l’«Orecchietteria Banfi», dove serve anche personalmente, a quasi 90 anni, i piatti della sua Puglia.

«La cucina ci ha aiutati quando mia figlia Rosanna s’è ammalata e quando mia moglie se n’è andata dopo una lunga malattia. In un piatto di orecchiette ritrovi i tuoi sentimenti, i ricordi, l’amore: quello non muore mai».

Miracolo ai fornelli

Trovarsi dopo aver cucinato abbatte anche le barriere: si superano gli imbarazzi, anche per un pugliese «screanzato» (volutamente senza creanza) come Checco Zalone, Luca Medici, che racconta anche nei suoi spettacoli: «Un’estate ero in vacanza in Puglia con gli amici delle mie figlie, tutti fascistoni, quindi fan di Giorgia Meloni. Pure lei era in vacanza lì vicino. E mi mandò un whatsapp chiedendo di incontrarmi. Io non incontro mai politici, però non volevo deludere i miei amici. Pensai a un caffè in gran segreto, ma loro si ribellarono: “La devi invitare a pranzo a Giorgia!”. Così le ho mandato questo whatsapp: “Abbiamo affittato un villino anni ’80 (condonato). Ci sono panzerotti, riso patate e cozze, parmigiana, latticini… Hai allergie e intolleranze, oltre a quelle che già conosciamo?».

Non sarà nato un amore, ma lei poi è andata ad applaudirlo a teatro. Chissà se si ritroveranno anche a Natale. Di certo si manderanno gli auguri: pare sia nata un’amicizia e anche questo è il miracolo della cucina.

Cucinare è come fare musica

Anche un altro pugliese doc, Al Bano, lo sottolinea: «Mangiare è come ascoltare una bella canzone. Cucinare è come fare musica. Il gusto, gli equilibri tra gli ingredienti nel piatto sono come le note e le parole di una canzone che ti sollevano, ti trasportano, ti permettono di volare».

Il Leone di Cellino San Marco aveva raccolto in un libro, «La cucina del sole – Le mie ricette del cuore» (edito da Mondadori), i piatti di mamma Jolanda e ancora porta avanti la tradizione di famiglia.

Predilige la cucina «buona e gustosa, ma veloce. È un fatto generazionale: appartengo a un’epoca in cui la velocità ai fornelli è fondamentale. Ciò non vuol dire che sia una cucina scadente. È semplicemente diversa. Negli anni ho sempre sperimentato soluzioni nuove, provando a mescolare tra loro gli ingredienti».

È maestro nelle salse: «Le posso fare in una trentina di modi, abbondando, per esempio, con le alici, con il tonno o con la carne macinata. Oppure punto su ingredienti come sedano e peperoncino. Posso aggiungere il formaggio grattugiato e l’olio d’oliva extravergine. A volte privilegio il vino bianco o l’aceto. Le varianti sono tantissime. L’importante è che siano prodotti del mio giardino».

La sua salsetta «Fuochi d’artificio» è da leccarsi i baffi. Lui ci mette 4 carote; 2 spicchi d’aglio; 15 pomodorini; 2 cipolle; una manciata di prezzemolo; un peperoncino piccante; un bicchiere di vino bianco; un cucchiaio di capperi; sale; un bicchiere di olio extravergine d’oliva.

Frulliamo tutti gli ingredienti fino a ottenere un composto liscio e omogeneo: la salsa è pronta. Possiamo usarla subito così com’è, oppure cuocerla per trasformarla in un delizioso sugo per la pasta. In questo secondo caso, scaldiamo un filo d’olio in un tegame, aggiungiamo quattro o cinque foglie di alloro e qualche pomodorino tagliato a pezzetti. Versiamo quindi la salsa e lasciamo cuocere per circa dieci minuti. Condiamo la pasta e completiamo con una spolverata di formaggio grattugiato, meglio se pecorino.

Ho provato a rifarla a casa: è buonissima, ve la consiglio.

Una storia d’amore

Concludo con il credo di Alain Ducasse, lo chef che si è guadagnato nel corso della sua carriera ben 20 stelle Michelin: «È una storia d’amore la cucina. Bisogna innamorarsi dei prodotti e poi delle persone che li cucinano».

Proviamoci, almeno a Natale.

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