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De Andrè canta De Andrè, Cristiano: «Ma voglio Sanremo con un progetto mio» – L’INTERVISTA

Cristiano De Andrè non ha mai avuto davvero bisogno di “sdoganarsi”. Ha preferito, piuttosto, attraversare il deserto del confronto. Con una discrezione che oggi suona anacronistica, ha custodito il proprio talento dietro le impalcature del rispetto, del pudore, della musica. Ha atteso che fosse il tempo – e non il nome – a rendergli giustizia.…
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Cristiano De Andrè non ha mai avuto davvero bisogno di “sdoganarsi”. Ha preferito, piuttosto, attraversare il deserto del confronto. Con una discrezione che oggi suona anacronistica, ha custodito il proprio talento dietro le impalcature del rispetto, del pudore, della musica. Ha atteso che fosse il tempo – e non il nome – a rendergli giustizia. Ora, dopo quattro volumi di “De André canta De André”, dopo teatri pieni e pubblico nuovo, dopo aver riportato in scena la voce e i versi del padre con fedeltà e invenzione, annuncia che il momento è venuto: “Sto preparando un disco nuovo. Sarà mio”. L’artista sarà in Puglia il 19 luglio, a Capurso, sul palco del Multiculturita Summer Festival.

Porta di nuovo in tour le canzoni di suo padre. Qual è la loro vera attualità?

«La loro forza sta nell’immortalità, nel fatto che sono opere d’arte atemporali, compiute e altissime. Credo che proprio per questo rimangano vive, e lo saranno ancora in futuro. Emozionano anche i più giovani, perché parlano alle loro domande esistenziali. L’attualità è tutta lì. E poi c’è il mio lavoro: ho dato agli arrangiamenti un nuovo vestito, una nuova vitalità, cercando però sempre di rispettare le parole. Non ho mai voluto che la musica disturbasse i testi, ho provato invece a enfatizzarli».

C’è una canzone della scaletta che ha preparato che fotografa l’attuale momento della nostra società?

«Disamistade, ma anche Il Fiume Sand Creek, che oggi torna purtroppo attuale per le guerre in corso, per quello che sta accadendo a Gaza. In fondo, tutta l’opera di mio padre racconta il nostro tempo: aveva la capacità di scrivere in anticipo».

Dopo quattro volumi dedicati a suo padre, cosa sente di non aver ancora raccontato?

«Durante i concerti condivido sempre qualche aneddoto, cerco di mostrare anche il lato umano di Fabrizio. Racconto episodi divertenti, o momenti che abbiamo vissuto insieme. Credo che le sue canzoni si raccontino da sole. Non serve spiegarle, i ragazzi le capiscono benissimo».

Quello che porta in scena non sono semplici cover. Che tipo di libertà si è preso nelle reinterpretazioni?

«Esatto, non sono una cover band. Questo tour si intitola “Best of”, e rappresenta secondo me il meglio del lavoro fatto finora. Le mie libertà sono quelle di un musicista. Nasco come tale: ho studiato classica, poi jazz, poi rock. Ho attraversato tanti generi. Ho cercato di usare la mia esperienza per arricchire le sue canzoni con ciò che amo ascoltare. Mio padre voleva che lo facessi. Mi aveva chiesto di continuare dopo Anime Salve e La Buona Novella. Poi è successo ciò che sappiamo. E ho deciso di portare avanti quel desiderio».

Ha detto che essere figlio di un genio le ha fatto capire i suoi limiti. Quali sono questi limiti?

«Il limite è semplice: non essere un genio. Avere in casa una persona che lo è davvero ti costringe a misurarti con l’impossibile. Per anni ho buttato via più materiale mio di quello che ho tenuto. Il paragone era troppo pesante».

E questa cosa le ha causato sofferenza?

«Molta. Da ragazzo è stata dura. Ora però ho preso il toro per le corna. Ho smesso di soffrirne. Anzi, sto recuperando anche le fatiche passate».

Nel tour c’è anche “La guerra di Piero”, mentre fuori, la guerra è reale. Come tiene insieme tutto questo?

«Credo che non basti condividere il pensiero di mio padre. Bisognerebbe metterlo in pratica, ogni giorno. Se davvero facessimo quello che quelle canzoni ci dicono, il mondo sarebbe un posto molto migliore».

Fabrizio diceva: «Non esistono poteri buoni». Lei ci crede ancora?

«Sì. Non esiste nessun potere che non voglia dominare. È la sua natura: sovrastare, agire sugli altri».

Una delle canzoni cantate da suo padre che amo di più è “Oceano”. Me la racconta?

«Lì dentro ci sono io. La scrisse De Gregori, me la dedicò dopo una serie di domande che gli facevo da bambino. “Perchè Alice guarda i gatti?”. Continuavo a chiderglielo. Una notte scrisse “Oceano”, e il giorno dopo mi disse: “Ti faccio sentire una canzone che ti spiega perché. Ma dopo non rompere più” (ride ndr). Non capii nulla, ovviamente, ma smisi di fare domande».

C’è una canzone di suo padre che canta solo per sé, quando è da solo?

«Tante. Ho visto Nina volare, La canzone di Marinella, Amico fragile… ma non potrei sceglierne solo due o tre. Le amo tutte. E quando le canto sul palco, provo sempre la stessa emozione».

Parliamo del presente. Ha mai pensato di tornare a Sanremo dalla porta principale?

«Sì. Quest’anno c’ero con Bresh, ma sto lavorando a un nuovo disco e spero che Carlo Conti voglia avermi in gara il prossimo anno, con un progetto mio».

Perché proprio ora? È passato molto tempo dall’ultimo disco.

«Perché negli ultimi anni ho voluto dedicarmi interamente a mio padre. Questo progetto l’ho preso a cuore. Ma ora sento che è arrivato il momento di fare anche qualcosa di nuovo, che mi appartenga e mi rappresenti a pieno».

Che suono avrà questo nuovo lavoro?

«Ci stiamo lavorando, ci sono tante idee. Alcune cose sono già definite, ma è presto per parlarne».

In questi anni si è mai sentito incompreso dal mondo dello spettacolo?

«Da quando porto in scena le canzoni di mio padre mi sento molto compreso. Gli arrangiamenti piacciono, i concerti sono sold out, c’è entusiasmo. Ora spero che lo stesso entusiasmo arrivi anche per ciò che è mio».

Cosa ascolta oggi? C’è qualcosa di contemporaneo che la incuriosisce?

«Ascolto molta musica degli anni Settanta e Ottanta. Sono affezionato a quei suoni, a quel modo di suonare. Oggi la cultura musicale si è abbassata molto, quindi mi interessa poco».

Che direzione sta prendendo, secondo lei, l’industria musicale?

«È tutto omologato, schiacciato. In mano alle case discografiche che vogliono prodotti tutti uguali. Non c’è più arte. Dopo quarant’anni in cui non si è insegnata l’arte, la musica, la letteratura, la poesia… non possiamo aspettarci un periodo fiorente. Siamo in piena decadenza. Forse tra quindici anni potremo sperare in una ripresa. Ma non prima».

Quale potrebbe essere una scintilla per invertire la rotta?

«Studiare. Leggere tanto, ascoltare tanta musica, dalla classica al jazz, al rock. Appassionarsi. E poi, quando si ha un vero bagaglio culturale, aprire il cuore. Solo da lì nasce qualcosa di autentico».

Ultima. Sul suo comodino oggi cosa c’è?

«In questo momento sto leggendo libri spirituali. Mi sto dedicando alla meditazione, allo yoga, alla respirazione. Ma leggo di tutto: letteratura russa, francese. Amo tornare ai grandi».

Perché questo momento spirituale? Cerca risposte o pace?

«Pace. Ci sono tecniche che ti aiutano a vivere meglio. E io voglio vivere meglio».

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