«Non abbiamo altra scelta che sfidare questa decisione. Inviterò Netanyahu a venire in Ungheria, dove posso garantirgli che la sentenza della Corte penale internazionale non avrà alcun effetto». Così il primo ministro dell’Ungheria Viktor Orban in una intervista alla radio statale ha confermato che il mandato «non sarà rispettato».
Ieri la Corte penale internazionale dell’Aia (CPI) ha emesso, per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il mandato di arresto per crimini contro l’umanità e crimini di guerra nella Striscia di Gaza.
La Corte penale internazionale, istituita il 17 luglio 1998 ed entrata in vigore nel luglio 2002, conta 124 Stati membri. Gli Stati Uniti, Israele, Russia e Ucraina non sono membri della Cpi. Così come l’Egitto, la Turchia, l’Arabia Saudita, insieme a Cina e India che non riconoscono la giurisdizione della Corte. Netanyahu quindi può viaggiare in un’intera serie di Paesi del Medioriente senza essere arrestato perché non sono parte dello Statuto di Roma.
Tutti i 124 Stati membri della Cpi hanno l’obbligo legale di arrestare ed estradare chi è colpito dal mandato di arresto. Anche per l’Ungheria dovrebbe essere così.
Il portavoce del governo ungherese Zoltan Kovacs: «Il mandato di arresto una decisione sfacciata e cinica»
La conferma è arrivata anche dal portavoce del governo ungherese, Zoltan Kovacs. «Il Primo ministro ungherese ha assicurato a Netanyahu l’immunità dalla decisione della Cpi durante la sua visita dando priorità alle relazioni israelo-ungheresi e garantendo la sicurezza di Netanyahu per discussioni produttive in Ungheria».
Per Orbán, spiega portavoce, il mandato di arresto è «una decisione sfacciata e cinica. Un’interferenza con motivazioni politiche. Non abbiamo altra scelta che opporci».
Parolin: «Mandato di arresto per Netanyahu? Nessun commento da Santa Sede»
«Sulla cattura di Netanyahu? Nessun commento da parte della Santa Sede. Abbiamo preso nota ecco di quanto è avvenuto. A noi quello che preoccupa e quello che interessa è che al più presto si ponga fine alla guerra che è in corso». Così il Segretario della Santa Sede, card. Pietro Parolin parlando a margine di un evento all’università Lumsa di Roma in merito al mandato d’arresto emesso dalla Cpi per il presidente israeliano Benjamin Netanyahu.
«Genocidio a Gaza? Dal Papa nessun antisemitismo»
«Sono da studiare queste cose, sono criteri tecnici quindi mi pare che lui ha detto quello che abbiamo sempre ribadito». Continua il segretario di Stato vaticano sulle reazioni alle parole del Papa sulla necessità di indagare se quanto avviene a Gaza si configuri come «genocidio».
«Sull’antisemitismo – ha aggiunto – credo che la posizione della Santa Sede sia chiara, non c’è bisogno di fare ulteriori considerazioni, lo abbiamo sempre condannato e continueremo a condannarlo e cercheremo di creare quelle condizioni, per quello che ci riguarda, per una seria condanna contro questo fenomeno».
In Iran il capo delle Guardie Rivoluzionarie: «Il mandato di arresto per Netanyahu è la morte politica di Israele»
Il capo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, il generale Hossein Salami, ha definito il mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale nei confronti del primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Gallant come la “fine e la morte politica” di Israele. “Questo significa la fine e la morte politica del regime sionista, un regime che oggi vive in un assoluto isolamento politico nel mondo e i suoi funzionari non possono più viaggiare in altri Paesi”, ha detto Salami in un discorso trasmesso dalla TV di Stato.
La Cina dopo il mandato d’arresto per Netanyahu: «La Corte sia oggettiva»
La Cina sollecita la Corte penale internazionale (Cpi) ad adottare e perseguire «una posizione oggettiva» dopo il mandato di arresto emesso contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa, Yoav Gallant. Lo fa sapere il portavoce del ministero degli Esteri, Lin Jian.
«La Cina spera che la Cpi mantenga una posizione obiettiva e giusta, e che eserciti i suoi poteri in conformità con la legge», ha detto Lin, nel corso del briefing quotidiano, in risposta al mandato d’arresto per Netanyahu e per il suo ex ministro della difesa Gallant.
La Cina, che come Israele e gli Usa non ha aderito alla Cpi, ha affermato di «sostenere qualsiasi sforzo della comunità internazionale sulla questione palestinese che sia utile per raggiungere equità e giustizia e sostenere l’autorità del diritto internazionale».
Lin, inoltre, ha accusato Washington di “doppi standard” in risposta a una domanda sull’opposizione americana al mandato di cattura per Netanyahu da parte della Corte e sul sostegno, invece, accordato su quello rigaurdante il presidente russo Vladimir Putin. «La Cina – conclude – si oppone con forza al fatto che alcuni Paesi utilizzino il diritto internazionale solo quando fa loro comodo».